Giubileo dei prigionieri e dei custodi di animali, Leone XIV su Vogue, la ‘bambina Gesù’, la corte suprema del Vaticano, i vescovi europei e il matrimonio, la libertà religiosa dentro e fuori.

Giubileo dei prigionieri e dei custodi di animali, Leone XIV su Vogue, la ‘bambina Gesù’, la corte suprema del Vaticano, i vescovi europei e il matrimonio, la libertà religiosa dentro e fuori.
Iniziamo la settimana e lo facciamo con un po’ di tranquillità. Gaudete celebrato, entriamo nel rettilineo finale dell’Avvento e dell’anno giubilare. Il cambio di presentazione della nostra infovaticana sta causando alcuni problemi per i lettori, l’informatica e gli informatici richiedono una grande dose di pazienza, discutere con un algoritmo è missione impossibile. Ci dicono che si stanno risolvendo e che «c’era una configurazione arretrata di cache che non influenzava tutti allo stesso modo», beh, sarà, vedremo se è risolto.
Il Giubileo dei Detenuti si è concluso in Vaticano ed è l’ultimo grande incontro dell’Anno Santo. Circa seimila persone di 90 paesi di tutto il mondo hanno pregato con il Papa Leone e attraversato la Porta Santa. Hanno partecipato anche delegazioni dal carcere femminile di Rebibbia, dal carcere minorile di Casal del Marmo e dal carcere di Rieti. In Vaticano, sono state condivise le storie dei reclusi che sono arrivati con personale penitenziario, volontari e familiari.

Il Papa ha chiesto amnistie e indulti durante la Messa del Giubileo dei Detenuti, facendo eco alle richieste del Papa  Francesco. Ha esortato a offrire a ogni persona l’opportunità di ricominciare, denunciando le difficoltà del sistema penitenziario e promuovendo una giustizia restaurativa e inclusiva.  Leone XIV ha ribadito con forza il desiderio espresso dal Papa Francesco nella Bolla Spes non confundit di concedere «forme di amnistia o remissione delle pene destinate ad aiutare le persone a recuperare la fiducia in se stesse e nella società, e a offrire a tutti opportunità reali di reinserimento». Il Pontefice ha ricordato che il Giubileo biblico fu «un anno di grazia in cui a tutti, in molti modi, fu offerta l’opportunità di ricominciare». «Avvicinandosi la fine dell’Anno Giubilare, dobbiamo riconoscere che resta ancora molto da fare nel sistema penitenziario». No ha dimenticato di richiamare i problemi strutturali del mondo carcelario:“Pensiamo alla sovraffollamento, all’impegno ancora insufficiente per garantire programmi stabili di educazione compensatoria e alle opportunità lavorative”.

L’associazione «Pet Carpet» ha ottenuto il permesso dalla Santa Sede, per la prima volta nella sua storia, per sponsorizzare un evento dedicato ai curatori di animali in occasione del Giubileo. Il 13 dicembre si è svolta una passeggiata a sei zampe a Villa Borghese e domenica 14 hanno partecipato a la Santa Messa  in San Pietro con il Papa seguita dal pellegrinaggio giubilare.  La presidentessa di Pet Carpet ha affermato “quanto sia fondamentale la figura dei volontari, del personale sanitario, dei medici volontari e di tutti coloro che lavorano in prima linea”.

Luis Badilla si rallegra del  ritorno » pubblico » del Papa alla musica sacra dopo che Francesco l’aveva disprezzata per 13 anni. Il Papa Leone : «Sembra particolarmente opportuno assegnare il Premio Ratzinger a chi ha preservato ciò che Benedetto XVI ha sempre considerato l’essenza dell’arte: la possibilità di far risuonare una scintilla della presenza di Dio attraverso la bellezza». Molto raccomandabile il testo completo del discorso del Papa e la intervista a Riccardo Muti su Vatican.va.  Nella nostra immagine, la vista di Muti alla tomba del suo ammirato Benedetto XVI per il quale non lesina elogi.

Il papa Leone XIV è tra i meglio vestiti del 2025 secondo ‘Vogue’: durante i suoi primi sette mesi di pontificato ha mostrato un gusto per vestire in modo più tradizionale e solenne. È vero che provenendo da dove proveniamo non è complicato superarlo. Fin dal primo momento ha scelto un sarto della casa, «I Sarti del Borgo” molto discreto e abituale nel mondo vaticano per realizzare gli vistosi uniformi della Guardia Svizzera Pontificia.  Ci dicono che avremo novità e nella buona direzione, questo Natale. Si dice che «l’abito non fa il monaco», ma sappiamo che gli abiti e le consuetudini, le azioni ripetitive e coscienti (come quelle di un monaco), sono quelle che veramente modellano il nostro carattere e ci trasformano dall’interno, suggerendo che possiamo migliorare la nostra vita attraverso piccole pratiche quotidiane, come vivere con presenza, compassione e attenzione al quotidiano, al di là dell’abbigliamento o del titolo.

Molti dei nostri vescovi si perdono più frequentemente di quanto desiderato, cose dei tempi travagliati in cui anche il Vaticano è immerso nella confusione. Grazie a Dio, sono tempi in cui abbondano molti parroci sensati che sono riferimento per i fedeli cattolici che vogliono continuare a essere fedeli alla fede dei loro antenati. Anche tra i parroci ne abbiamo di smarriti e nei tempi forti si manifestano nel loro splendore.  Don Vitaliano Della Sala, residente a Capocastello, vicino ad Avellino, propone quest’anno un presepe con una «Bambina Gesù». Annuncia: «Sarebbe una buona idea smembrarla per farla somigliare a quei bambini vittime di massacri in tutto il mondo». ¿L’obiettivo? «Provocare dibattito», come spiega in un’intervista a una catena televisiva locale. Penso di mettere una Gesù donna nel presepe perché dobbiamo avviare un dibattito sul ruolo della donna. Abbiamo bisogno di donne sacerdoti. Dio si incarna anche nelle donne. Non sono contro il presepe, ma lo reinterpretò».  Don Vitaliano Della Sala è noto per il suo rifiuto della tradizione. Qualche anno fa, ha creato un presepe con due madri. ¿Cosa ne penserà il suo vescovo? , beh come al solito non pensa e se pensa non lo dice. Nessun commento dalla diocesi di Avellino. In tempi recenti il prete Avelino sarebbe candidato a cardinale, vedremo se lo è ancora.

La cosiddetta Corte Suprema del Vaticano, per la parte civile,  si accinge a decidere sulla ricusazione del Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, nella controversa appello del processo di Londra.  Si riunirà il prossimo 9 gennaio per decidere se ricuserà il Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, ed escluderlo dall’appello del processo Becciu.  In pratica, i migliaia di messaggi scambiati tra Chaouqui e Ciferri hanno un grande peso, poiché entrambe, in mezzo alle complessità di questa intricata questione, avrebbero ispirato, a diversi livelli, le memorie redatte da Perlasca, il principale accusatore del cardinale Becciu.  Il 9 gennaio, il panel di Cassazione includerà i cardinali Kevin Farrell come presidente, Matteo Zuppi e Angel Artime, nessuno di loro viene dal mondo del diritto,  insieme a due giudici designati, le professoresse Chiara Minelli e Patrizia Piccialli. Leone XIV ha fatto sapere che non aveva intenzione di interferire, lasciando il compito ai giudici d’appello e agli avvocati difensori per arrivare a una conclusione. L’uso del verbo «interferire» scelto dal pontefice è stato per enfatizzare che questa volta solo il Diritto Canonico parlerà. Praticamente l’opposto di ciò che è accaduto in prima istanza a causa dell’interventismo massiccio e ripetuto del Papa Francesco che ha persino firmato, mentre le indagini erano aperte, quattro decreti (inizialmente tenuti segreti) per concedere al Promotore di Giustizia carta bianca totale per quanto riguarda intercettazioni, misure cautelari e libertà di esaminare il materiale sequestrato.  John Allen, ha evidenziato recentemente su Crux come questo «disastro» sia pieno di «irregolarità processuali» a cui si sono aggiunti altri elementi strani. Per non dire altro, il presidente del tribunale di prima istanza del Vaticano, Giuseppe Pignatone, è sotto indagine in Sicilia per presunti legami con la mafia. «Il processo nel Palazzo di Londra, che si supponeva rappresentasse un punto di svolta sotto il pontificato del Papa Francesco, in nome di una maggiore trasparenza e responsabilità, si è trasformato in ciò che si avvicina a una farsa giudiziaria».

Il 25 novembre, il Tribunale di Giustizia dell’Unione Europea (TJUE) ha ordinato alla Polonia di riconoscere il matrimonio egualitario. La legislazione polacca non lo prevede, e la Costituzione polacca stabilisce esplicitamente la responsabilità dello Stato di proteggere il matrimonio come un’unione sessualmente differenziata. In questa deriva assurda in cui è entrata l’Europa. «le questioni minori» come le costituzioni o le leggi nazionali non possono ostacolare l’avanzata dell’Unione.  Nel caso di Jakub Cupriak-Trojan e Mateusz Trojan contro Wojewoda Mazowiecki , il Tribunale di Giustizia dell’Unione Europea (TJUE) ha riconosciuto che il matrimonio rimane competenza degli Stati membri, non dell’Unione. Ma il tribunale ha invocato la libera circolazione delle persone per ordinare alla Polonia di registrare il matrimonio. La Polonia non è obbligata a permettere il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma non riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso in altri Stati minerebbe la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione, ha argomentato il Tribunale. 
Ancora più interessante è la dichiarazione del 9 dicembre della Commissione delle Conferenze Episcopali della Comunità Europea (COMECE) che parla molto di  questioni giuridiche e politiche, ma è molto scarna su questioni morali. I vescovi chiedono un approccio prudente e cauto nei casi di diritto di famiglia con implicazioni transfrontaliere e suggeriscono che la sentenza ‘sembra’ portare la giurisprudenza oltre le competenze dell’UE, cioè una indignazione episcopale molto lieve. Il tono della dichiarazione non riflette affatto che ciò che è in gioco è il matrimonio, che il pensiero sociale cattolico ha sempre considerato il fondamento e la cellula della società. Quando il matrimonio è minacciato, la famiglia e la società nel suo insieme crollano. La Chiesa ha sostenuto il progetto dell’UE per decenni; cambiare rotta significherebbe ammettere il suo fallimento.  Il progetto europeo di Ursula von der Leyen, Frans Timmermans e Javier Solana non è affatto lo stesso progetto di quello di Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi e Jean Monnet, cattolici sostenitori dell’integrazione europea del dopoguerra che frequentavano la messa con assiduità.  Già sappiamo che i vescovi cattolici dell’Unione Europea mancano del coraggio per lanciare il guanto e proteggere il matrimonio e la famiglia.  Il futuro dell’Europa —e l’integrità della sua testimonianza cristiana— richiede più di una preoccupazione procedurale. Richiede il coraggio di esprimere chiaramente ciò che è in gioco.

E concludiamo con un interessante seminario organizzato da sociologi della religione all’Università di Padova, con un dinamico dialogo tra storici, giuristi, teologi e sociologi, in occasione dell’anniversario della Dichiarazione sulla Libertà Religiosa,  Dignitatis Humanae.  Da un lato, la questione del rapporto tra religioni e Stati; dall’altro, la forza del principio di libertà di coscienza nella Chiesa Cattolica. Forse l’analisi più intensa in questi 60 anni si è dedicata all’impatto istituzionale di detto principio. Ma anche il suo effetto interno, cioè, le conseguenze che la libertà di coscienza introduce nel modo di pensare la dottrina e nell’esercizio del servizio teologico. Dignitatis Humanae è il documento conciliare che permette alla Chiesa Cattolica di passare da una società dell’onore a una società della dignità.  Non solo la dottrina, ma anche i credenti stessi abbracciano la libertà di coscienza come elemento costitutivo della loro fede. Questo cambia anche il modo in cui coloro che si autodenominano teologi possono offrire sintesi di sapienza e luce alla vita degli uomini e delle donne.

Se si esaminano le disposizioni del Codice del 1983, confrontandole con quelle del Codice del 1917, si osserva con costernazione che il canone 752 impone una limitazione alla libertà di ricerca del teologo, la quale è aumentata invece di diminuire. La obbedienza dovuta si estende a tutto il magistero (sia irriformabile che riformabile), ci si può chiedere come sarebbe stato possibile, con queste norme del 1983, discostarsi dalle posizioni del magistero «autentico» ma «riformabile» dei papi del XIX secolo riguardo alla questione della «libertà di coscienza». Il codice del 1983, in un certo senso, renderebbe impossibile oggi ciò che è stato fatto tra il 1962 e il 1965. L’esigenza istituzionale di silenzio, di autocensura, è aumentata invece di diminuire, estendendosi questa obbligo non solo al magistero infallibile, ma a tutto il magistero ordinario. È evidente che, senza spazi per un dibattito effettivo e aperto, lo sviluppo di una dottrina aggiornata alla nuova condizione stabilita rimane difficile.

«¿Con quale potestà fai queste cose? ¿E chi ti ha dato tale potestà?»

Buona lettura.

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