Il tentativo di legalizzare il suicidio assistito nel Regno Unito si è trasformato in un caso paradigmatico di manipolazione politica e mediatica su una questione di massima gravità morale. Nonostante il sostegno esplicito del Governo laburista, di una ampia maggioranza parlamentare e dei principali media, il progetto di legge continua a non essere approvato e potrebbe persino fallire prima della fine della sessione parlamentare attuale, prevista per la primavera del 2026.
Contrariamente a quanto annunciato dai suoi promotori, la cosiddetta Terminally Ill Adults (End of Life) Bill —nella pratica, una legge sul suicidio assistito— non ha proceduto con la rapidità prevista. Il Parlamento britannico ha sospeso i suoi lavori il 18 dicembre scorso per la pausa natalizia, lasciando il progetto in stallo fino al 5 gennaio. Un ritardo significativo che riflette la profonda divisione esistente tra i parlamentari e il malcontento crescente di fronte a un processo legislativo percepito come forzato.
Pressione mediatica e urgenza fabbricata
Fin dall’inizio del dibattito, l’impulso a favore del suicidio assistito ha contato su un sostegno mediatico praticamente unanime, allineato con l’attivismo della deputata laburista Kim Leadbeater, promotrice formale del testo come iniziativa privata. Questa strategia ha permesso di presentare la legge come una domanda sociale incontestabile, riducendo il dibattito pubblico reale e generando artificialmente un clima di urgenza morale.
Il risultato è stata la creazione di un’illusione di consenso che, nella pratica, non si è corrisposta con la realtà parlamentare né con le priorità della cittadinanza. Il margine strettissimo con cui il progetto ha superato la terza lettura nella Camera dei Comuni a giugno del 2025 —315 voti contro 291— ha smentito la narrazione di un sostegno “schiacciante”, nonostante i media lo abbiano qualificato come una “vittoria storica”.
Una manovra preparata dall’opposizione
I dubbi sulla presunta neutralità del Governo si sono intensificati dopo la pubblicazione, il 3 dicembre, di un documento interno rivelato da The Guardian. Il testo dimostra che il Partito Laburista già pianificava di introdurre una legge sul suicidio assistito quando era ancora all’opposizione, nel 2023, evitando di includerla nel suo programma elettorale per non perdere voti e ricorrendo successivamente alla formula di un’iniziativa parlamentare privata.
Il documento fa numerose riferimenti al gruppo attivista Dignity in Dying e dettagli una strategia attentamente progettata per minimizzare le resistenze politiche e sociali. Sebbene l’entourage di Leadbeater abbia negato qualsiasi coordinamento con il primo ministro Keir Starmer, diverse voci hanno messo in dubbio questa versione. Tra esse, la vescova anglicana Helen-Ann Hartley, membro della Camera dei Lord, che ha avvertito pubblicamente della mancanza di trasparenza del processo.
L’opinione pubblica, molto lontana dal racconto ufficiale
Oltre alla battaglia parlamentare, i dati demoscopici hanno finito per smontare il racconto dominante. Un sondaggio dettagliato pubblicato a settembre dalla coalizione Care Not Killing ha rivelato che la legalizzazione del suicidio assistito non figura tra le priorità dei cittadini britannici. Di fatto, è stata l’opzione meno sostenuta tra undici possibili politiche pubbliche, con il sostegno di appena una persona su otto.
Le preoccupazioni reali della popolazione si concentrano su questioni molto diverse: riduzione delle liste d’attesa del Servizio Nazionale di Sanità, miglioramento dell’assistenza oncologica, rafforzamento dei servizi di salute mentale, sostegno alle persone con disabilità e un finanziamento adeguato delle cure palliative. Il messaggio è chiaro: di fronte a un costo stimato di 425 milioni di sterline in dieci anni per implementare il suicidio assistito, la società reclama investimenti nelle cure, non nella legalizzazione della morte.
La Camera dei Lord, ultimo baluardo di contenimento
In questo contesto, la Camera dei Lord svolge un ruolo decisivo. Il progetto si trova attualmente in fase di commissione, sottoposto a un esame esaustivo. I critici hanno presentato più di mille emendamenti, obbligando ad ampliare il dibattito e provocando dure reazioni da parte dei difensori della legge, che accusano i loro oppositori di ostruzionismo.
Alcuni promotori del testo sono arrivati a sostenere, in modo ingannevole, che i Lord sono obbligati a sottomettersi alla volontà della Camera dei Comuni. Nel frattempo, diversi parlamentari contrari al suicidio assistito hanno denunciato pressioni e minacce, il che rafforza la percezione di un processo legislativo profondamente viziato.
Una battaglia che non termina con un voto
Anche se il progetto non prospera in questa legislatura, i difensori della vita avvertono che la minaccia non scomparirà. Lord Farmer, ex tesoriere del Partito Conservatore, ha definito questa iniziativa “una legge atea che presuppone che non ci sia nulla dopo la morte”. Sulla stessa linea, il cardinale Vincent Nichols ha già avvertito nel 2024 che dimenticare Dio finisce per degradare la dignità umana.
Il dibattito britannico sul suicidio assistito rivela così qualcosa di più profondo di una semplice disputa legislativa: la pretesa di imporre una cultura della morte mediante procedure formalmente democratiche, ma sostanzialmente manipolate. Di fronte a ciò, la difesa della vita —specialmente nella sua fase più vulnerabile— rimane un compito urgente, anche in società che si proclamano avanzate e compassionevoli.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
