Benedizione «Urbi et Orbi» di Leone XIV

Benedizione «Urbi et Orbi» di Leone XIV

Nella solennità della Nascita del Signore, il papa Leone XIV ha rivolto questo 25 dicembre 2025 il suo primo Messaggio di Natale e la benedizione Urbi et Orbi dalla loggia centrale della basilica di San Pietro, davanti ai fedeli riuniti in Piazza e a milioni di persone collegate attraverso i mezzi di comunicazione. Il Pontefice ha presentato il mistero dell’Incarnazione come fondamento autentico della pace, insistendo sul fatto che solo un cuore liberato dal peccato può diventare vero costruttore di riconciliazione, sia nella vita personale che nel ambito sociale e internazionale.

A partire dalla nascita di Cristo nella povertà e nel rifiuto, Leone XIV ha sottolineato la responsabilità morale di ogni persona di fronte al male, alla violenza e all’indifferenza, ricordando che Dio salva l’uomo con la sua grazia, ma non senza la sua libera risposta. Sull’uscio della fine del Giubileo della Speranza, il Santo Padre ha concluso riaffermando che Cristo è la “Porta sempre aperta” e che il Natale, oggi come sempre, è inseparabilmente l’annuncio della salvezza e della pace vera.

Lasciamo qui di seguito il messaggio completo di Leone XIV:

Cari fratelli e sorelle,

«Rallegratevi tutti nel Signore, perché il nostro Salvatore è nato nel mondo. Oggi, dal cielo, è discesa su di noi la pace» (Antifona d’ingresso della Messa di mezzanotte nella Natività del Signore). Così canta la liturgia nella notte di Natale, e così risuona nella Chiesa l’annuncio di Betlemme: il Bambino nato dalla Vergine Maria è Cristo Signore, inviato dal Padre per salvarci dal peccato e dalla morte. Egli è la nostra pace, Colui che ha vinto l’odio e l’inimicizia con l’amore misericordioso di Dio. Per questo «la nascita del Signore è la nascita della pace» (S. Leone Magno, Sermone 26).

Gesù nacque in una stalla perché non c’era posto per lui nell’albergo. Appena nato, sua madre Maria «lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia» (Lc 2,7). Il Figlio di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, non è accolto e la sua culla è un povero abbeveratoio per animali.

Il Verbo eterno del Padre, che i cieli non possono contenere, ha scelto di venire al mondo in quel modo. Per amore ha voluto nascere da una donna, per condividere la nostra umanità; per amore ha accettato la povertà e il rifiuto e si è identificato con i marginalizzati ed esclusi.

Nella nascita di Gesù si delinea già la scelta fondamentale che guiderà tutta la vita del Figlio di Dio, fino alla sua morte in croce: la scelta di non farci portare il peso del peccato, ma di portarlo Lui per noi, di assumersene il carico. Questo poteva farlo solo Lui. E allo stesso tempo ci ha mostrato ciò che solo noi possiamo fare, cioè assumere ciascuno la nostra parte di responsabilità. Sì, perché Dio, che ci ha creato senza di noi, non può salvarci senza di noi (cf. S. Agostino, Sermone 169, 11. 13), cioè senza la nostra libera volontà di amare. Chi non ama non si salva, è perduto. E chi non ama il suo fratello che vede, non può amare Dio che non vede (cf. 1 Gv 4,20).

Sorelle e fratelli, questo è il cammino della pace: la responsabilità. Se ciascuno di noi, a tutti i livelli, invece di accusare gli altri, riconoscesse innanzitutto le proprie colpe e chiedesse perdono a Dio, e allo stesso tempo si mettesse al posto di chi soffre, fosse solidale con i più deboli e oppressi, allora il mondo cambierebbe.

Gesucristo è la nostra pace, anzitutto perché ci libera dal peccato e, poi, perché ci indica la via da seguire per superare i conflitti, tutti i conflitti, da quelli interpersonali a quelli internazionali. Senza un cuore libero dal peccato, un cuore perdonato, non si può essere uomini e donne pacifici e costruttori di pace. Per questo Gesù nacque a Betlemme e morì in croce: per liberarci dal peccato. Egli è il Salvatore. Con la sua grazia, ciascuno di noi può e deve fare ciò che gli spetta per rifiutare l’odio, la violenza e il confronto, e praticare il dialogo, la pace e la riconciliazione.

In questo giorno di festa, desidero inviare un saluto effusivo e paterno a tutti i cristiani che vivono in Medio Oriente, che ho voluto incontrare di recente nel mio primo viaggio apostolico. Ho ascoltato le loro paure e conosco bene il loro sentimento di impotenza di fronte alle dinamiche di potere che li sovrastano. Il Bambino che oggi nasce a Betlemme è lo stesso Gesù che dice: «Vi dico questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete da subire persecuzioni, ma fate coraggio: io ho vinto il mondo» (Gv 16,33).

A Lui imploriamo giustizia, pace e stabilità per il Libano, la Palestina, Israele e la Siria, confidando in queste parole divine: «L’opera della giustizia sarà la pace, e il frutto della giustizia, la tranquillità e la sicurezza per sempre» (Is 32,17).

Affidiamo al Principe della Pace tutto il continente europeo, chiedendogli che continui a ispirargli uno spirito comunitario e collaborativo, fedele alle sue radici cristiane e alla sua storia, solidale e accogliente con chi è in bisogno. Preghiamo in modo speciale per il popolo ucraino tribolato, affinché cessino i rumori delle armi e le parti coinvolte, con il sostegno della comunità internazionale, trovino il coraggio di dialogare in modo sincero, diretto e rispettoso.

Al Bambino di Betlemme imploriamo pace e consolazione per le vittime di tutte le guerre che si combattono nel mondo, specialmente quelle dimenticate; e per chi soffre a causa dell’ingiustizia, dell’instabilità politica, della persecuzione religiosa e del terrorismo. Ricordo in modo speciale i fratelli e le sorelle del Sudan, del Sudan del Sud, del Mali, del Burkina Faso e della Repubblica Democratica del Congo.

In questi ultimi giorni del Giubileo della Speranza, chiediamo a Dio fatto uomo per il caro popolo di Haiti che cessino nel Paese tutte le forme di violenza e possa procedere sul cammino della pace e della riconciliazione.

Che il Bambino Gesù ispiri coloro che hanno responsabilità politiche in America Latina affinché, affrontando le numerose sfide, si dia spazio al dialogo per il bene comune e non alle esclusioni ideologiche e partitiche.

Chiediamo al Principe della Pace che illumini il Myanmar con la luce di un futuro di riconciliazione, che restituisca la speranza alle generazioni giovani, guidi tutto il popolo birmano per le vie della pace e accompagni chi vive senza casa, senza sicurezza e senza fiducia nel domani.

A Lui imploriamo che si ristabilisca l’antica amicizia tra Thailandia e Cambogia e che le parti coinvolte continuino a sforzarsi per la riconciliazione e la pace.

A Lui affidiamo anche i popoli del sud dell’Asia e dell’Oceania, duramente colpiti dalle recenti e devastanti catastrofi naturali, che hanno gravemente colpito intere popolazioni. Di fronte a tali prove, invito tutti a rinnovare con convinzione l’impegno comune di soccorrere chi soffre.

Cari fratelli e sorelle:

Nell’oscurità della notte appariva «la luce vera, che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), venendo in questo mondo, ma «i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,11). Non lasciamo che ci vinca l’indifferenza verso chi soffre, perché Dio non è indifferente alle nostre miserie.

Fatto uomo, Gesù assume su di sé la nostra fragilità, si identifica con ciascuno di noi: con chi non ha più nulla e ha perso tutto, come gli abitanti di Gaza; con chi patisce fame e povertà, come il popolo yemenita; con chi fugge dalla sua terra in cerca di un futuro altrove, come i numerosi rifugiati e migranti che attraversano il Mediterraneo o percorrono il continente americano; con chi ha perso il lavoro e con chi lo cerca, come tanti giovani che hanno difficoltà a trovare impiego; con chi è sfruttato, come gli innumerevoli lavoratori mal pagati; con chi è in prigione e spesso vive in condizioni disumane.

Al cuore di Dio giunge l’invocazione di pace che sgorga da ogni terra, come scrive un poeta:

«Non quella di una tregua né quella della visione del lupo accanto all’agnello, ma quella del cuore quando finisce l’agitazione e parliamo di una grande stanchezza.

Che sia come fiori selvatici, all’improvviso, per necessità del campo: una pace selvatica».

In questo giorno santo, apriamo il nostro cuore ai fratelli e alle sorelle che sono nel bisogno e soffrono. Facendolo, lo apriamo al Bambino Gesù che, con le braccia aperte, ci accoglie e ci rivela la sua divinità: «Ma a tutti quelli che lo hanno accolto […], ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12).

Tra pochi giorni terminerà l’Anno Giubilare. Si chiuderanno le Porte Sante, ma Cristo, la nostra speranza, rimane sempre con noi. Egli è la Porta sempre aperta, che ci introduce nella vita divina. L’allegra notizia di questo giorno è che il Bambino nato è Dio fatto uomo; che non viene a condannare, ma a salvare; la sua non è un’apparizione fugace, poiché viene per restare e donarsi. In Lui ogni ferita è sanata e ogni cuore trova riposo e pace. «La Nascita del Signore è la Nascita della pace».

A tutti, auguro di cuore un Natale sereno.

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