Il cardinale José Cobo, arcivescovo di Madrid, si è di nuovo posto al centro del dibattito ecclesiale e mediatico dopo il suo intervento a Herrera su COPE. Lo ha fatto, ancora una volta, in merito alla Valle dei Caduti —ribattezzata ufficialmente Valle di Cuelgamuros— e al processo di “risignificazione” promosso dal Governo. Ma questa volta, inoltre, puntando il dito contro presunti “pseudomedias” cattolici che accusa di distorcere la realtà, ideologizzare il dibattito e persino calunniare.
Conviene dirlo senza giri di parole: quando la gerarchia parla tardi, male o in modo ambiguo, non può stupirsi che altri riempiano il vuoto.
Nel suo intervento radiofonico, il cardinale Cobo offre una ricostruzione per fasi del processo di risignificazione: iniziativa governativa, negoziazione iniziale, concorso pubblico, approvazione del progetto e, infine, un protagonismo crescente dei monaci e della Santa Sede. Secondo il suo racconto, la Chiesa non ha promosso il processo, ma si è limitata a “delimitare un quadro” per proteggere il culto, la basilica, la presenza benedettina e i segni religiosi.
Il problema non è tanto ciò che ora si dice, ma quando si dice. Per mesi —e anni—, la Conferenza Episcopale Spagnola e i responsabili diocesani hanno optato per comunicati tecnici, silenzi prolungati e messaggi deliberatamente smorzati, mentre il Governo avanzava senza complessi in un progetto di forte carica ideologica. Il risultato è prevedibile: diffidenza tra i fedeli e sensazione di opacità.
Il cardinale non si limita a difendere il suo ruolo. Va oltre e accusa determinati media —che denomina “pseudomedias”— di agire come “mercenari di altri interessi”, di vivere “del cattolico senza essere cattolici” e di utilizzare i vescovi e persino il Papa come bersaglio permanente.
Indicare i messaggeri permette di evitare un’autocritica seria sulla strategia comunicativa della Chiesa in Spagna. Perché il malcontento non nasce da titoli malevoli, ma dalla percezione —diffusa tra molti fedeli— che si è negoziato troppo e spiegato troppo poco. E quando finalmente si parla, lo si fa per assicurare che “tutto è salvato”, senza assumere responsabilità concrete né errori di calcolo pastorale.
Il pattern si ripete. Il Governo promuove. La Chiesa “accompagna”. La Conferenza Episcopale media. L’arcivescovo dialoga. I monaci e Roma “avranno l’ultima parola”. E quando scoppia la polemica, nessuno è responsabile diretto. Tutti hanno fatto un passo indietro nel momento opportuno.
Nel frattempo, la Valle —simbolo religioso, storico e spirituale per migliaia di cattolici— resta soggetta a una “risignificazione” progettata da parametri estranei alla fede, sebbene ora avvolta in garanzie che arrivano tardi e male spiegate.
