Leone XIV alla Curia Romana: «La missione e la comunione sono possibili se poniamo Cristo al centro»

Leone XIV alla Curia Romana: «La missione e la comunione sono possibili se poniamo Cristo al centro»

Nella udienza concessa alla Curia Romana in occasione dello scambio di auguri natalizi, celebrata questo 22 dicembre nel Palazzo Apostolico Vaticano, il papa Leone XIV ha centrato il suo intervento sulla missione evangelizzatrice della Chiesa e sulla necessità di rafforzare la comunione interna, specialmente nel servizio curiale. Nel suo discorso, pronunciato alla vigilia del Natale, il Pontefice ha ricordato il mistero dell’Incarnazione, ha evocato la figura e il magistero del suo predecessore, il papa Francesco, ed ha esortato a una Curia più missionaria, fraterna e orientata al servizio pastorale delle Chiese particolari, in un contesto segnato da divisioni interne e conflitti nel mondo.

Pubblichiamo qui di seguito il discorso completo di Leone XIV:

Signori Cardinali,
venerati fratelli nell’episcopato e nel presbiterato,
cari fratelli e sorelle
:

La luce del Natale viene incontro a noi, invitandoci a riscoprire la novità che, dalla umile grotta di Betlemme, percorre la storia umana. Attratti da questa novità, che abbraccia tutta la creazione, camminiamo con gioia e speranza, perché ci è nato un Salvatore (cf. Lc 2,11): Dio si è fatto carne, si è fatto nostro fratello e rimane per sempre come il Dio-con-noi.

Con questa gioia nel cuore e con un profondo senso di gratitudine, possiamo guardare gli eventi che si susseguono, anche nella vita della Chiesa. Per questo, ora che siamo alla vigilia delle feste natalizie, mentre saluto cordialmente tutti e ringrazio il Cardinale Decano per le sue parole ―sempre piene di entusiasmo: oggi il Salmo ci dice che sono settant’anni i nostri anni, ottanta per i più robusti, così celebriamo anche con voi―, desidero innanzitutto ricordare il mio caro predecessore, il Papa Francesco, che quest’anno ha concluso la sua vita terrena. La sua voce profetica, il suo stile pastorale e il suo ricco magistero hanno segnato il cammino della Chiesa in questi anni, animandoci principalmente a rimettere al centro la misericordia di Dio, a dare un maggiore impulso all’evangelizzazione, a essere una Chiesa allegra e gioiosa, accogliente con tutti, attenta ai più poveri.

Ispirandomi proprio alla sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium, vorrei tornare su due aspetti fondamentali della vita della Chiesa: la missione e la comunione.

La Chiesa è, per natura, estroversa, aperta al mondo, missionaria. Ha ricevuto da Cristo il dono dello Spirito per portare a tutti la buona novella dell’amore di Dio. Segno vivo di questo amore divino per l’umanità, la Chiesa esiste per invitare, chiamare e radunare al banchetto festivo che il Signore prepara per noi, affinché ciascuno possa scoprirsi figlio amato, fratello del prossimo, uomo nuovo a immagine di Cristo e, quindi, testimone della verità, della giustizia e della pace.

Evangelii gaudium ci anima ad avanzare nella trasformazione missionaria della Chiesa, che trova la sua forza inesauribile nel mandato di Cristo Risorto. «In questo “andate” di Gesù sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuove della missione evangelizzatrice della Chiesa, e tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria» (EG, 20). Questo stato di missione deriva dal fatto che Dio stesso, per primo, si è messo in cammino verso di noi e, in Cristo, è venuto a cercarci. La missione inizia nel cuore della Santissima Trinità: Dio, infatti, ha consacrato e inviato il suo Figlio nel mondo affinché «chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Il primo grande “esodo”, quindi, è quello di Dio, che esce da sé per venire incontro a noi. Il mistero del Natale ci annuncia proprio questo: la missione del Figlio consiste nella sua venuta nel mondo (cf. Sant’Agostino, La Trinità, IV, 20.28).

In questo modo, la missione di Gesù sulla terra, che si prolunga per mezzo dello Spirito Santo nella missione della Chiesa, diventa criterio di discernimento per la nostra vita, per il nostro cammino di fede, per le prassi ecclesiali, come anche per il servizio che svolgiamo nella Curia Romana. Le strutture, infatti, non devono ostacolare, fermare la corsa del Vangelo o impedire la dinamica dell’evangelizzazione; al contrario, dobbiamo «procurare che tutte esse diventino più missionarie» (Evangelii gaudium, 27).

Per questo, nello spirito della corresponsabilità battesimale, tutti siamo chiamati a partecipare alla missione di Cristo. Anche il lavoro della Curia deve essere animato da questo spirito e promuovere la sollecitudine pastorale al servizio delle Chiese particolari e dei loro pastori. Abbiamo bisogno di una Curia Romana sempre più missionaria, dove le istituzioni, gli uffici e i compiti siano pensati tenendo conto delle grandi sfide ecclesiali, pastorali e sociali di oggi, e non solo per garantire l’amministrazione ordinaria.

Al tempo stesso, la missione nella vita della Chiesa è strettamente legata alla comunione. Il mistero del Natale, infatti, mentre celebra la missione del Figlio di Dio in mezzo a noi, contempla anche la sua finalità: Dio ha riconciliato con sé il mondo per mezzo di Cristo (cf. 2 Cor 5,19) e, in Lui, ci ha fatto suoi figli. Il Natale ci ricorda che Gesù è venuto a rivelarci il vero volto di Dio come Padre, affinché tutti potessimo essere suoi figli e, quindi, fratelli e sorelle tra noi. L’amore del Padre, che Gesù incarna e manifesta nei suoi gesti di liberazione e nella sua predicazione, ci rende capaci, nello Spirito Santo, di essere segno di una nuova umanità, non fondata sulla logica dell’egoismo e dell’individualismo, ma sull’amore reciproco e sulla solidarietà mutua.

Questa è una tarea più urgente che mai ad intra e ad extra.

Lo è ad intra, perché la comunione nella Chiesa rimane sempre una sfida che ci chiama alla conversione. A volte, dietro una apparente tranquillità, si agitano i fantasmi della divisione. E questi ci fanno cadere nella tentazione di oscillare tra due estremi opposti: uniformare tutto senza valorizzare le differenze o, al contrario, esasperare le diversità e i punti di vista invece di cercare la comunione. Così, nelle relazioni interpersonali, nelle dinamiche interne degli uffici e dei ruoli, o trattando i temi che riguardano la fede, la liturgia, la morale o altri, si corre il rischio di essere vittime della rigidità e dell’ideologia, con le contrapposizioni che ciò implica.

Ma noi siamo la Chiesa di Cristo, siamo i suoi membri, il suo corpo. Siamo fratelli e sorelle in Lui. E in Cristo, pur essendo molti e diversi, siamo uno: “In Illo uno unum”.

Siamo chiamati anche, e soprattutto qui nella Curia, a essere costruttori della comunione di Cristo, che chiede di configurarsi come Chiesa sinodale, dove tutti collaborano e cooperano nella stessa missione, ciascuno secondo il proprio carisma e il ruolo ricevuto. Ma questo si costruisce, più che con le parole e i documenti, mediante gesti e atteggiamenti concreti che devono manifestarsi nel quotidiano, anche nell’ambiente lavorativo. Mi piace ricordare quanto scriveva sant’Agostino nella sua lettera a Proba: «In tutti gli affari umani, nulla è grato all’uomo se non ha per amico l’uomo». Tuttavia, si chiedeva con una punta di amarezza: «Chi si può trovare che sia un così buon amico, da poter avere in questa vita sicurezza certa della sua intenzione e delle sue abitudini?» (Lettera 130, 4).

Questa amarezza a volte si fa strada tra noi quando, forse dopo molti anni offerti al servizio della Curia, notiamo con delusione che, ad alcune dinamiche legate all’esercizio del potere, all’ambizione di emergere, alla cura dei propri interessi, costa cambiare. E si può chiedere: è possibile essere amici nella Curia Romana, avere relazioni di fraterna amicizia? Nello sforzo quotidiano è bello quando incontriamo amici in cui poter confidare, quando cadono maschere e inganni, quando le persone non sono usate e calpestate, quando c’è aiuto reciproco, quando si riconosce a ciascuno il proprio valore e la propria competenza, evitando di generare insoddisfazioni e risentimenti. C’è una conversione personale che dobbiamo desiderare e perseguire, affinché nelle nostre relazioni possa trasparire l’amore di Cristo che ci fa fratelli.

Questo diventa un segno anche ad extra, in un mondo ferito da discordie, violenza e conflitti, in cui vediamo anche un aumento dell’aggressività e della rabbia, frequentemente strumentalizzate dal mondo digitale e dalla politica. Il Natale del Signore porta con sé il dono della pace e ci invita a essere un segno profetico in un contesto umano e culturale troppo frammentato. Il lavoro della Curia e quello della Chiesa in generale deve essere pensato anche in questo ampio orizzonte: non siamo piccoli giardinieri dediti a curare il proprio orto, ma siamo discepoli e testimoni del Regno di Dio, chiamati a essere in Cristo lievito di fraternità universale, tra popoli diversi, religioni differenti, tra donne e uomini di ogni lingua e cultura. E questo avviene se siamo noi i primi a vivere come fratelli e facciamo risplendere nel mondo la luce della comunione.

Cari fratelli, la missione e la comunione sono possibili se poniamo Cristo al centro. Il Giubileo di quest’anno ci ha ricordato che solo Lui è la speranza che non delude. E, proprio durante l’Anno Santo, celebrazioni importanti ci hanno fatto ricordare altri due eventi: il Concilio di Nicea, che ci riconduce alle radici della nostra fede, e il Concilio Vaticano II, che fissando lo sguardo in Cristo ha consolidato la Chiesa e l’ha spinta a uscire incontro al mondo, all’ascolto delle gioie e delle speranze, delle tristezze e delle angosce degli uomini di oggi (cf. Gaudium et spes, 1).

Infine, permettetemi di ricordare che cinquant’anni fa, nel giorno dell’Immacolata Concezione, fu promulgata da san Paolo VI l’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, scritta dopo la terza Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Questa sottolinea, tra l’altro, due realtà che possiamo evidenziare qui: il fatto che «la Chiesa riceve la missione di evangelizzare e […] l’attività di ciascun membro costituisce qualcosa di importante per il tutto» (n. 15); e, al tempo stesso, la convinzione che «il primo mezzo di evangelizzazione consiste in un testimonio di vita autenticamente cristiana, consegnata a Dio in una comunione che nulla deve interrompere e al tempo stesso consacrata ugualmente al prossimo con uno zelo senza limiti» (n. 41).

Ricordiamo questo anche nel nostro servizio curiale: il lavoro di ciascuno è importante per il tutto, e il testimonianza di una vita cristiana, che si esprime nella comunione, è il primo e il maggiore servizio che possiamo offrire.

Eminenze, Eccellenze, cari fratelli e sorelle, il Signore scende dal cielo e si abbassa verso di noi. Come scriveva Bonhoeffer, meditando sul mistero del Natale, “Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, entra in lui […]. Dio ama ciò che è perduto, ciò che nessuno considera, l’insignificante, il marginale, debole e abbattuto” (cf. D. Bonhoeffer, Riconoscere Dio al centro della vita, Brescia 2004, 12). Che il Signore ci dia la sua stessa condiscendenza, la sua stessa compassione, il suo amore, affinché ogni giorno siamo i suoi discepoli e testimoni.

Vi auguro di cuore a tutti un Santo Natale. Che il Signore ci porti la sua luce e conceda al mondo la pace.

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