Leone XIV nell'udienza generale: «È nel cuore che si conserva il vero tesoro»

Leone XIV nell'udienza generale: «È nel cuore che si conserva il vero tesoro»

Nell’Udienza Generale del 17 dicembre, celebrata nell’ambito del Giubileo 2025, il papa Leone XIV ha proseguito il ciclo di catechesi «Gesucristo, nostra speranza», centrando la sua riflessione su la Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. In questa occasione, il Pontefice ha presentato la Pasqua come destino del cuore inquieto, sottolineando che la fede cristiana non annulla lo sforzo quotidiano né la responsabilità, ma offre un orizzonte di senso che libera l’uomo dalla dispersione, dall’attivismo vuoto e dalla disperazione. Alla luce del Cristo risorto, ha affermato, il cuore umano trova il suo vero riposo e la sua pienezza ultima in Dio, fondamento saldo della speranza cristiana.

Lasciamo qui di seguito la catechesi completa di Leone XIV:

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

La vita umana si caratterizza per un movimento costante che ci spinge a fare, ad agire. Oggi in giorno si esige ovunque rapidità per ottenere risultati ottimali nei campi più diversi. In che modo la resurrezione di Gesù illumina questo aspetto della nostra esperienza? Quando parteciperemo alla sua vittoria sulla morte, riposeremo? La fede ci dice: sì, riposeremo. Non saremo inattivi, ma entreremo nel riposo di Dio, che è pace e gioia. Orbene, dobbiamo solo aspettare, o questo può cambiarci già da ora?

Siamo assorti in molte attività che non sempre ci soddisfano. Molte delle nostre azioni hanno a che fare con cose pratiche, concrete. Dobbiamo assumere la responsabilità di numerosi impegni, risolvere problemi, affrontare fatiche. Anche Gesù si è coinvolto con le persone e con la vita, senza lesinare sforzi, ma donandosi fino alla fine. Tuttavia, spesso percepiamo che il fatto di fare troppo, invece di darci pienezza, diventa un vortice che ci stordisce, ci toglie la serenità, ci impedisce di vivere meglio ciò che è realmente importante per la nostra vita. Allora ci sentiamo stanchi, insoddisfatti: il tempo sembra disperdersi in mille cose pratiche che, tuttavia, non risolvono il significato ultimo della nostra esistenza. A volte, alla fine di giorni pieni di attività, ci sentiamo vuoti. Perché? Perché non siamo macchine, abbiamo un «cuore», anzi, possiamo dire che siamo un cuore.

Il cuore è il simbolo di tutta la nostra umanità, la sintesi di pensieri, sentimenti e desideri, il centro invisibile delle nostre persone. L’evangelista Matteo ci invita a riflettere sull’importanza del cuore, citando questa bella frase di Gesù: «Perché dove sarà il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21).

È, dunque, nel cuore che si conserva il vero tesoro, non nelle casseforti della terra, non nelle grandi investimenti finanziari, oggi più che mai impazziti e ingiustamente concentrati, idolatrati al prezzo sanguinoso di milioni di vite umane e della devastazione della creazione di Dio.

È importante riflettere su questi aspetti, perché nei numerosi impegni che affrontiamo continuamente, affiora sempre di più il rischio della dispersione, a volte della disperazione, della mancanza di senso, persino in persone apparentemente di successo. Al contrario, leggere la vita sotto il segno della Pasqua, guardarla con Gesù Risorto, significa trovare l’accesso all’essenza della persona umana, al nostro cuore: cor inquietum. Con questo aggettivo «inquieto», sant’Agostino ci fa comprendere l’impulso dell’essere umano che tende alla sua piena realizzazione. La frase completa rimanda all’inizio delle Confessioni, dove Agostino scrive: «Signore, tu ci hai fatto per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposi in te» (I, 1,1).

L’inquietudine è il segnale che il nostro cuore non si muove a caso, in modo disordinato, senza un fine o una meta, ma è orientato verso il suo destino ultimo, quello di «tornare a casa». E l’autentico destino del cuore non consiste nel possesso dei beni di questo mondo, ma nel raggiungere ciò che può colmarlo pienamente, cioè l’amore di Dio, o, meglio, Dio Amore. Tuttavia, questo tesoro si trova solo amando il prossimo che si incontra sul cammino: fratelli e sorelle di carne e ossa, la cui presenza interpella e interroga il nostro cuore, chiamandolo ad aprirsi e a donarsi. Il prossimo ti chiede di rallentare, di guardarlo negli occhi, a volte di cambiare piani, magari persino di cambiare direzione.

Cari, ecco il segreto del movimento del cuore umano: tornare alla fonte del suo essere, godere della gioia che non finisce, che non delude. Nessuno può vivere senza un senso che vada oltre il contingente, oltre ciò che passa. Il cuore umano non può vivere senza sperare, senza sapere che è fatto per la pienezza, non per il vuoto.

Gesucristo, con la sua Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione, ha dato un fondamento solido a questa speranza. Il cuore inquieto non si sentirà ingannato se entrerà nel dinamismo dell’amore per cui è stato creato. La destinazione è sicura, la vita ha vinto e in Cristo continuerà a vincere in ogni morte del quotidiano. Questa è la speranza cristiana: benediciamo e rendiamo grazie sempre al Signore che ce l’ha data!

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