Il Governo britannico ha presentato un piano per condurre un trial clinico nazionale che offrirebbe bloccanti della pubertad a bambini “transgender” a partire dai dieci anni. La proposta, descritta da The Catholic Herald come un esperimento temerario, ha suscitato preoccupazione sia in ambienti cattolici che secolari. E non è da meno: fermare lo sviluppo naturale di un minore che a malapena padroneggia la scrittura è un intervento estremo che qualsiasi società responsabile dovrebbe mettere in discussione con fermezza.
L'iniziativa mette in evidenza la volontà dell'Esecutivo di Keir Starmer di avanzare in un'agenda ideologica che ignora ripetute avvertenze mediche ed etiche. Genitori, professionisti sanitari e, in particolare, la Cass Review hanno sottolineato che non esiste una base scientifica sufficiente per applicare questi trattamenti ormonali nell'infanzia. Eppure, il Governo sembra convinto che la risposta al disagio infantile sia farmacologica, sebbene un bambino di dieci anni non possa comprare una bevanda energetica o prenotare una visita dal medico senza supervisione adulta.
Proporre che un minore acceda a un farmaco capace di alterare il suo sviluppo sessuale, osseo e neurologico risulta contraddittorio persino per un Governo che si vanta di rigore scientifico. La decisione rivela una sorprendente leggerezza di fronte ai rischi, presentando come “progresso” ciò che in realtà costituisce un'intromissione medica ingiustificata in corpi sani in nome dell'ideologia.
Pubertà: un processo essenziale che non può essere messo in pausa
Il discorso ufficiale tenta di giustificare i bloccanti come una “pausa” che darebbe tempo per riflettere. Ma la pubertà non funziona come un apparecchio con un pulsante di stop e resume. È un processo biologico integrale che modella la formazione fisica e psicologica dell'adolescente. Interromperlo in modo chimicamente indotto non è solo innaturale: può generare danni duraturi che ancora non comprendiamo pienamente.
Neppure può essere giustificato in nome del consenso informato. Il sistema britannico riconosce la cosiddetta “competenza Gillick”, ma è pensato per situazioni molto specifiche, e raramente —se non mai— viene concessa a un bambino di dieci anni. A quell'età non sono preparati per valutare trattamenti ormonali sperimentali con effetti irreversibili. Proprio per quella fragilità, l'infanzia ha bisogno di protezione, non di sperimentazione biomedica.
Il precedente internazionale e le prime testimonianze di danno
Mentre il Regno Unito si addentra in questo terreno incerto, altri paesi hanno fatto esattamente il contrario. Stati Uniti, Svezia e Finlandia hanno ristretto o fermato l'uso di bloccanti nei minori per mancanza di evidenze e per i rischi di danno psicologico e fisico. Inoltre, cresce il numero di giovani “de-transizionatori” che affermano di essere stati spinti a interventi medici senza una valutazione clinica sufficiente.
Queste storie condividono un pattern preoccupante: valutazioni rapide, dubbi ignorati e problemi di salute mentale non trattati. Se il Regno Unito procederà, rischia di moltiplicare quelle testimonianze, questa volta in persone che hanno iniziato trattamenti disruptivi ancora più giovani.
La visione cattolica di fronte all'esperimentalismo ideologico
La tradizione cattolica offre una visione diametralmente opposta: il corpo non è un oggetto da riparare, ma parte essenziale della dignità umana. L'identità non si fabbrica né si altera chimicamente. La pubertà svolge un ruolo insostituibile nel processo di maturazione; trattarla come un malfunzionamento da correggere è falsare la natura stessa dello sviluppo umano.
Il Governo tenta di equiparare questo trial ai trattamenti ormonali applicati in casi di malattie genetiche o endocrine gravi. Ma confrontare l'intervento terapeutico per correggere un disturbo reale con la soppressione della pubertà di un bambino sano per disturbi psicologici è una distorsione clinica. I contesti sono completamente diversi, e lo sono anche le implicazioni etiche.
La Cass Review, la chiusura della Tavistock Clinic e il consenso crescente tra esperti dovrebbero essere segnali sufficienti per fermare qualsiasi esperimento simile. Rispondere a quelle avvertenze abbassando ulteriormente l'età dei partecipanti è imprudente e pericolosamente irresponsabile.
I minori non hanno bisogno di una “pausa chimica” nel loro sviluppo. Hanno bisogno di stabilità familiare, accompagnamento reale, diagnosi psicologica rigorosa e tempo, il tempo proprio dell'infanzia. Le loro domande sull'identità —antiche quanto l'adolescenza stessa— non si risolvono con ormoni.
