Grazie, Araldi del Vangelo

Un libro de 700 páginas que desenmascara años de arbitrariedad romana y nos recuerda que sin derecho no hay Iglesia, sólo poder.

Grazie, Araldi del Vangelo

Inizio confessandolo senza giri di parole: non so quasi nulla degli Araldi del Vangelo. La loro estetica, a essere sinceri, mi provoca un certo brivido: armature di stoffa, croci giganti, aria di crociata medievale nel pieno del XXI secolo. Non è, precisamente, la mia sensibilità.

Ma una cosa è il gusto e un’altra è la giustizia. E quanto più leggo ciò che gli hanno fatto e come hanno risposto, tanto più ho chiaro un’altra cosa: li ammiro profondamente.

Non si può affrontare il potere… a meno che non si sia disposti a pagarlo

Da anni sentiamo che questa è la Chiesa sinodale, la Chiesa del dialogo, la Chiesa dell’ascolto, la Chiesa dei processi. Tutto ciò è molto bello per gli slogan, ma nella pratica c’è una regola d’oro che tutti hanno imparato velocemente:
al potere non si pianta faccia.

E ancor meno dopo dodici anni di dittatura bergogliana, con una corte perfettamente oliata per premiare i fedeli del regime e triturare chi dà fastidio. Tra i collaboratori di quella lunga fase di ferro c’era, tra l’altro, l’allora prefetto della Congregazione per i Vescovi, il cardinale Robert Prevost, oggi Leone XIV.

In quel clima, la maggior parte delle istituzioni cattoliche ha optato per ciò che potremmo chiamare la strategia della tartaruga: rifugiarsi nel proprio guscio, salvare i propri piccoli interessi, evitare problemi e pregare in silenzio perché la tempesta passi senza devastare la casa e il conto in banca.

Gli Araldi hanno fatto esattamente il contrario: hanno deciso di andare a tutto.

Commissariamenti… e con il commissario sul banco morale

Gli Araldi del Vangelo sono stati commissariati. Bisognava commissariare qualcuno; il sistema aveva bisogno di un nemico visibile, un caso esemplarizzante, un avvertimento ai naviganti: così finisce chi non si allinea. Niente di nuovo sotto il sole.

Ciò che è nuovo –e quasi inaudito– è la risposta. Invece di chinare il capo, chiedere perdono per l’esistenza e scomparire discretamente dalla mappa, gli Araldi hanno fatto qualcosa che viene in mente solo a chi non ha perso la fede né il rispetto per la verità:
hanno raccolto, documentato e pubblicato una cronaca completa dell’atropello.

Mi riferisco al volume Il Commissariamento degli Araldi del Vangelo. Sanzionati senza prove, senza difesa, senza dialogo. Cronaca dei fatti 2017–2025, coordinato dal Prof. Dr. José Manuel Jiménez Aleixandre e dalla Suor Dra. Juliane Vasconcelos Almeida Campos: più di 700 pagine di fatti, documenti, decreti, atti notarili, rapporti canonici, lettere, pareri giuridici e testimonianze.

E ciò che fanno in quelle pagine è devastante: dimostrare che non c’è stato processo, né prove, né difesa, né dialogo. Solo una catena di abusi di autorità, manovre oscure, fughe di notizie interessate alla stampa, silenzi colpevoli e una costruzione artificiosa di sospetti per giustificare un commissariamento che –se si rispettasse minimamente il diritto– non si sarebbe mai potuto sostenere.

Non solo: il libro mostra come, col tempo, il commissariamento sia finito per diventare una caricatura di se stesso, al punto che lo stesso commissario resta moralmente commissariato, messo sotto i riflettori e messo in discussione nella sua idoneità. È difficile immaginare un boomerang più perfetto.

Quindici anni terribili senza diritto

C’è una frase che aleggia su tutto questo caso, anche se non sempre viene detta ad alta voce: abbiamo vissuto quindici anni terribili. Quindici anni in cui il diritto canonico è stato trattato come un ostacolo, una seccatura burocratica che si può capovolgere o ignorare quando non conviene.

Il libro degli Araldi lo illustra con precisione chirurgica: decreti mal redatti o direttamente alterati; decisioni senza motivazione; accuse generiche e mai dimostrate; visite apostoliche convertite in spedizioni di pesca alla ricerca di reati che non appaiono; restrizioni imposte senza base; processi civili che finiscono per assolvere l’istituzione mentre a Roma si fa come se niente fosse.

In sintesi: per troppo tempo, la legge è stata sostituita dalla volontà di chi comanda. E questo, nella Chiesa, è letale. Una cosa è credere nell’autorità; un’altra, molto diversa, è giustificare l’arbitrarietà.

Mentre tutti tacevano, un’istituzione ha deciso di perdere la paura

La cosa più scandalosa di tutto questo non è che ci siano stati abusi. Quello, purtroppo, lo sappiamo e lo abbiamo visto in troppi ambiti. La cosa veramente scandalosa è che, di fronte agli abusi, quasi tutti hanno taciuto.

Hanno taciuto ordini religiosi veterani e recenti. Hanno taciuto università cattoliche. Hanno taciuto movimenti ecclesiali potenti. Hanno taciuto fondazioni e congregazioni che sapevano benissimo cosa stava succedendo, ma hanno preferito guardare dall’altra parte per non mettere in pericolo sussidi, permessi, privilegi o semplicemente la tranquillità istituzionale.

E, all’improvviso, c’è un’istituzione che non tace. Un’istituzione che, invece di accettare rassegnata il ruolo di vittima docile, decide di mettere per iscritto tutto il processo, con nomi, date, riferimenti e allegati. Un’istituzione che osa affermare, con fatti alla mano, che ciò che è stato fatto loro è un caso paradigmatico di persecuzione ideologica all’interno della Chiesa.

Non si tratta solo di difendere il proprio nome. Si tratta di qualcosa di molto più serio: difendere l’idea stessa che nella Chiesa debba esistere un ordine giuridico. Che i decreti non possono essere falsificati. Che le firme non possono essere manipolate. Che un commissario non può comportarsi come se fosse al di sopra della legge. Che i fedeli e le comunità hanno diritti, non solo obblighi.

Ciò che tutta la Chiesa deve agli Araldi

Non è necessario condividere il carisma degli Araldi né godere delle loro processioni per riconoscerlo: tutta la Chiesa intera deve loro gratitudine.

Perché, rifiutandosi di essere triturati in silenzio, hanno costretto a mettere sul tavolo ciò che tutti intuivano e quasi nessuno diceva: che a Roma si è agito troppe volte senza prove, senza difesa, senza dialogo. Che si è giocato con le persone e le opere come se fossero pezzi di una scacchiera ideologica. Che le visite e gli accompagnamenti sono stati, in non pochi casi, strumenti di pressione e controllo.

Se oggi esiste un racconto dettagliato di come funziona quella macchina, è in gran parte grazie a loro. E questo non è utile solo per il loro caso; è un servizio, scomodo ma necessario, a tutta la Chiesa. Qualsiasi istituzione che domani si troverà nel mirino del sistema saprà che non è obbligata a scomparire in silenzio.

In un tempo in cui la parola sinodalità viene usata per giustificare tutto, gli Araldi hanno ricordato, con fatti e documenti, che senza giustizia non c’è comunione possibile. Che la carità senza verità si converte in sentimentalismo. E che l’autorità senza legge degenera in dispotismo.