TRIBUNA: Perché credo fermamente che Cristo volle associare come co-redentrice la sua beata madre?

Por: Luis López Valpuesta

TRIBUNA: Perché credo fermamente che Cristo volle associare come co-redentrice la sua beata madre?

I

Che abbiamo o no conoscenze profonde di teologia dogmatica o di esegesi biblica, penso che sia un dovere di tutti e ciascuno dei cristiani fervorosi e formati (e con un consolidato «sensus fidei»), tentare di difendere ciò che i nostri antenati (inclusi molti Papi) hanno creduto fermamente: che «il nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo» (2 Pt. 1,1), «nato da donna» (Gal. 4,4), ha voluto associare quella donna, la Beata Vergine Maria, alla sua opera di redenzione. E che, essendo la sua opera salvifica perfetta e definitiva in se stessa con il sacrificio della croce, è stata la sua volontà che essa rimanesse legata in modo speciale e unico a quell’eccelsa immolazione che ha meritato la salvezza di tutti gli uomini.

Questo lo abbiamo sostenuto sempre, pacificamente, e impiegando senza complessi il termine corredentrice. E ora è il momento che ciascuno si chieda seriamente perché lo crede, al di là del fatto che sia dottrina cattolica certa. Per difendere questa verità, il fedele cattolico potrebbe illustrarsi con buoni argomenti di rinomati teologi, o pronunciamenti papali del passato, e confrontarli con le ragioni per cui la Nota romana sconsiglia il suo uso (voglio supporre per un motivo più prudenziale che ecumenico). Molti lo hanno fatto così. Ma io preferisco seguire il mio naturale istinto cristiano, più che copiare gli abbondanti argomenti teologici, liturgici e di tradizione cattolica di altri per sostenere questa profonda verità di fede. Li conosco certo, e sebbene possa citarne qualcuno, considero più opportuno che parli il mio cuore cristiano (a volte le ragioni che esso ha sono più potenti di quelle della testa, come nota Pascal) perché sento veramente, in questa questione, che lo zelo della mia casa mi divora.

Lo stesso Codice di Diritto Canonico, afferma che i fedeli cattolici hanno il diritto, e a volte persino il dovere, in ragione della loro propria conoscenza, competenza e prestigio, di manifestare ai pastori sacri la loro opinione su ciò che appartiene al bene della Chiesa (Can. 212).

Di conseguenza, abbia o no conoscenze o competenza (prestigio certo che no), sono cattolico e penso che la questione sia troppo grave per tacere. Parlerò, dunque, di ciò che la mia esperienza come cristiano, i miei studi teologici, le mie appassionate letture della Bibbia e le mie preghiere mi hanno insegnato, salvaguardando sempre l’integrità della fede e dei costumi, la reverenza verso i Pastori e tenendo conto dell’utilità comune e della dignità delle persone (Can. 212 alla fine). Stimo che questa sia una di quelle occasioni in cui ogni cattolico, protetto da ciò che ha ricevuto da coloro che lo hanno preceduto (2 Ts. 2,15-2 Tm. 2,2), non solo deve dire no a determinate comunicazioni sfortunate dell’autorità competente, ma soprattutto argomentare e dare ragione della sua speranza (1 Pt. 3,15).  

Umilmente chiedo l’aiuto dello Spirito Santo, poiché sebbene siamo deboli, viene in nostro aiuto (Rm. 8,26), e mi metto sotto la protezione  della mia benedetta madre del Cielo, che mai ha negato e mai negherà ciò che un cristiano le chiede in lode del suo Figlio. Perché non ci confondiamo: riconoscere la corredozione mariana non abbassa l’opera salvifica perfetta e definitiva di Cristo, ma tutto il contrario. Che Cristo abbia associato la sua benedetta madre alla sua redenzione onora di più il Figlio di Dio che la Beata Vergine Maria, poiché si rivela così in modo sublime «la profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio» (Rm. 11,33).

Di conseguenza, esporrò due convinzioni che ho maturato nella mia vita cristiana:

a).- La mediazione del cristiano in generale.-

La prima è che il termine corredozione, a mio giudizio, certo non è adeguato per spiegare la cooperazione di qualsiasi cristiano in grazia alla salvezza degli altri (in virtù dell’impressionante comunione dei santi), sebbene rifletta in certo modo quell’idea. Effettivamente, se nel cristiano in grazia abita lo Spirito Santo e sollecita fervorosamente Cristo a non permettere la perdizione di un fratello, è ragionevole pensare che, in molti casi (se il Signore ha voluto accogliere la nostra supplica dalla sua eterna Provvidenza), possiamo aiutare a salvare la sua anima; cioè, ottenere che essa accolga nell’ultimo istante la misericordia di Cristo, se si trova a un pollice dall’inferno. Per questo è così necessario pregare per i moribondi (e anche per i defunti, poiché per Dio non esiste il tempo), abbiamo o no il dubbio ragionevole se si siano salvati. Può essere che non otteniamo la loro salvezza, ma in tutti quei casi in cui quell’uomo la raggiunga -se Gesù ascolta la nostra preghiera, perché aveva previsto di darci retta fin da prima dei tempi-, potremmo affermare che siamo stati, in certo modo, «corredentori». In ogni caso, non mi sembra corretta questa parola qui, e dovremmo usare meglio i termini biblici di preghiera di mediazione, e di efficacia della preghiera del giusto. I cristiani siamo nati nel peccato e siamo stati redenti. E sappiamo «per tale nube di testimoni» (Eb. 12,1), che il titolo di corredentore è esclusivo solo di Maria, che a differenza di noi non ha mai avuto peccato perché fu redenta preventivamente.» «Mentre la Beatissima Vergine ha già raggiunto la perfezione, i fedeli ancora si sforzano di crescere in santità» (Lumen Gentium 65). 

b).- La corredozione di Maria per volontà del suo Figlio.-

La seconda convinzione è quella che abbiamo appena annotato: Maria è l’unica «corredentrice» (solo Cristo è il Redentore). Nel caso della Beata Vergine Maria, sì possiamo e dobbiamo impiegarlo. Qui il termine acquisisce una dimensione molto più reale e intensiva perché, essendo ella potentissima mediatrice (come i cristiani in stato di Grazia) a cui possiamo ricorrere inoltre per la sua condizione materna,  la sua intercessione è -di fatto, cioè, per l’esperienza dei cristiani di tutti i secoli- infallibile (nel senso di sempre efficace e sicura). Ripeto affinché nessuno si scandalizzi, è una verità di fatto; che significa che, sebbene non sia una Verità di fede (per il momento), è Verità con maiuscola. E non credo che nessun cristiano -incluso Víctor Fernández- osi negarla come tale, poiché in tal caso dovrebbe, per esempio, anatematizzare come eretico il Memorare di San Bernardo e il senso della fede del popolo cristiano. Ma se è infallibile (in senso fattuale) come credono i cristiani, dobbiamo concludere che Maria non solo media, non solo intercede ma che, nel farlo, ottiene la redenzione dell’intercesso (perché il suo Figlio la accetta sempre, dato che ha voluto associarla al suo sacrificio). La mediazione di qualsiasi cristiano in grazia è potente ma può fallire. La sua, mai. Per questo è corredentrice.

A continuación tenterò di sviluppare con più dettaglio -e con l’autorità della Parola di Dio- entrambe le mediazioni.

II

La prima cosa è sapere con precisione di cosa parliamo con la parola corredozione, e c’è un principio essenziale che dobbiamo avere sempre presente, e mai deviarne:

Per la fede cristiana, c’è un solo redentore, non due redentori, e quel redentore è Cristo, Dio e uomo vero, che con il suo sacrificio sulla croce ha pagato superabondantemente il debito del peccato umano. Non ha bisogno di nient’altro né di nessun altro. La Scrittura è rotonda:

«In nessun altro si trova la salvezza, poiché non ci è stato dato sotto il Cielo nessun altro nome che quello di Gesù per salvarci» (At. 4,12). E

«Poiché c’è un solo Dio, e un solo mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo uomo» (1 Tm. 2,5).

Gesù ci ha salvato una volta per sempre offrendo se stesso (Eb. 7,27), per cui non esistono né esisteranno nuove vittime né nuovi sacrifici redentori. Compiuto l’unico sacrificio con efficacia definitivamente espiatoria, il nostro dovere come cristiani non è altro che vivere in azione di grazie e obbedire alla volontà della Vittima, che ha voluto che facessimo memoria di Lui (1 Cor. 11,24) (in senso biblico, non un ricordo ma un rendendolo presente), per unirci come ostie vive, sante e gradite a Lui (Rm. 12,1). Vivere eucaristicamente in sintesi. Per questo si attualizza il suo unico e definitivo sacrificio per le mani purificate del sacerdote, nel memoriale attraverso il quale ci sono applicati i suoi salutari benefici. E lo continueremo a fare -come ce lo ha ordinato durante l’ultima cena (Lc. 22,19)- fino alla fine dei tempi.

Proprio in quella preghiera pubblica –il Santo Sacrificio della Messa-, ogni cristiano della Chiesa militante si unisce in preghiera con la Chiesa Trionfante del Cielo, ma «in primis gloriosae semper virginis Marie genitrice Dei (Canon Romano) -in primo luogo, con lei-, per impetrare non solo la propria salvezza. Anche avendo la speranza di poterla ottenere per tutti coloro per i quali preghiamo, nella certezza di fede del immenso valore davanti a Dio della intensa preghiera del giusto (Gc. 5,16).

Questa è una verità luminosa, ricordata dalle Sacre Scritture come anche dai papi: che Dio concede una potente efficacia alla preghiera fervorosa dell’uomo che è nella sua Grazia –soprattutto unito al Sacerdote nel Sacrificio dell’Altare-, perché gli conferisce il potere di contribuire a salvare (a redimere) un’anima in pericolo di condanna. Per esempio, Pio XII, nella sua enciclica Mystici Corporis Christi del 1943 (num. 44):

Misterium sane tremendum (…), quod hominum multorum salus a precibus et voluntariis expiationibus membrorum Corporis mystici Iesu Christi

Mistero veramente impressionante che le preghiere e i volontari sacrifici dei membri del Corpo Mistico abbiano efficacia salvifica per molti

Malgrado tutto, reitero che considero inadeguato qualificare quell’azione mediatrice o intercessoria del cristiano in stato di grazia come corredozione, pur sapendo che in lui abita lo Spirito Santo e quindi è veramente divinizzato, già qui in terra. In rigor, come ho indicato prima, quel termine dobbiamo applicarlo ai mediatori più importanti per infallibili, il mediatore originale (o come dicono i teologi classici per merito de condigno, Cristo) e il mediatore subordinato per eccellenza, mediatore per merito de congruo (la Beata Vergine Maria).

Ma lasciamo le distinzioni scolastiche precedenti e concentriamoci sulla convinzione che il Signore ascolta le nostre preghiere. E sebbene sia vero che a volte -troppo- non sapete quello che chiedete (Mt. 20,22) (cosa che non accade mai con la Vergine Maria, che chiede e ottiene, per esempio a Cana di Galilea), l’insistenza e la perseveranza del giusto hanno la loro ricompensa, poiché Dio Non farà forse giustizia ai suoi eletti che gridano a lui giorno e notte? (Lc. 18,7).

E ricordiamo inoltre ciò che, nel Vangelo di Giovanni, ci assicura il Signore:

In verità, in verità vi dico: chi crede in me farà anche le opere che io faccio, e ne farà di maggiori, perché vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, io la farò, affinché sia glorificato il Padre nel Figlio (Gv. 14,12).

Non sottovalutiamo mai, quindi, la nostra intercessione e siamo consapevoli dell’immensa dignità -e potere spirituale- che possediamo come veri figli di Dio. E per quanto riguarda la difficoltà dei testi biblici citati, specialmente 1 Tm. 2,5, come spiega il teologo Cándido Pozo dopo un’attenta esegesi, è chiaro che il redentore, Cristo, è «uno», il che significa che è «uno solo (cioè, la stessa persona) ed è mediatore rispetto a tutti«. Ciò implica che «la parola «uno» non si oppone alla possibile esistenza di mediatori subordinati, ma al limitare l’efficacia mediatrice di Cristo Gesù, poiché Egli abbraccia la totalità degli uomini nella sua azione. In questo modo, il testo afferma solo che c’è un mediatore unico, cioè lo stesso e ineludibile per tutti, ma non tratta se quella mediazione sia compatibile o no con l’esistenza di mediatori subordinati» (Cándido Pozo, Maria, Nuova Eva, p. 364).

III

Arriviamo al momento di spiegare perché credo con certezza che Maria è legittimamente «corredentrice». E perché considero che, essendo un errore contro la fede cattolica porre la sua mediazione allo stesso livello di quella dell’unico redentore, Cristo Nostro Signore (errore in cui, a proposito, non ho mai visto cadere nessun cattolico cabal), è un’assurdità tentare di esiliare per ragioni spurie (ecumeniche) questo legittimo titolo mariano, avalutato dalla tradizione cattolica. Pertanto, né «falsa esagerazione», né «eccessiva strettezza di spirito» (Lumen Gentium, 67). Per eccesso o per difetto non possiamo sbagliare e, per ciò, conviene assicurarsi con la Verità delle Sacre Scritture, così come l’ha sempre intesa la Tradizione Cattolica, unico cammino per cui siamo esenti dall’errore.

E un attento e costante lettore delle Sacre Scritture percepisce qualcosa di cruciale: sia Gesù Cristo che Maria (uomo-Dio il primo e creatura creata la seconda), sono gli unici personaggi biblici che appaiono e in modo simultaneo: all’inizio della storia della salvezza, nel momento culminante di quella redenzione, e finalmente (attraverso figure simboliche) nella sua consumazione. Cioè, sempre sono legati alla salvezza dell’uomo caduto. 

Entrambi i personaggi sono il nervo che attraversa tutta la Bibbia, dal Genesi all’Apocalisse, per trasmettere la luce della salvezza. Loro, e nessun altro. Non è necessario evidenziare un atto puntuale di associazione, quando la Bibbia li ha associati in ogni tappa salvifica determinante. Madre e Figlio, emergono all’inizio, al mezzo e al termine della storia sacra, e appaiono impegnati, al di là del loro legame materno-filiale, da un’assoluta inimicizia con una sinistra figura che ha rovinato la vita degli uomini e desidererà distruggere l’opera di redenzione, il demonio. Cioè, come vedremo a continuación, tutta la storia della salvezza è legata ai due (anche quando Maria non esisteva), il che è un forte indizio che Cristo ha voluto chiaramente associare la sua benedetta madre alla sua opera redentrice. Esaminiamo quei tre momenti:

(1).-  All’inizio del Libro Sacro.-

Bereshit, All’inizio…Ammiriamo il Logos che crea la luce, ma anche, molto  presto, si menzionerà la donna nemica mortale del serpentedel peccato-. Infatti, possiamo trovare Nostro Signore Gesù Cristo nella prima Parola che si ode nella Bibbia, un ordine performativo in mezzo al caos: Sia la luce. E questa non si identificava tanto con una realtà fisica quanto con la Sapienza (Sap. 7,26) e con la Vita (Gv. 1,4), le stesse aspirazioni che portarono alla perdizione i nostri primi genitori, poiché in quei due beni concreti li tentò il demonio: «conoscerete e non morrete» (Gen. 3,4-5). Gravissima menzogna. Senza Cristo non c’è vita (Gv. 13,6), non c’è sapienza (1 Cor. 1,24) e non c’è salvezza (At. 4,12).

Per questo Cristo è la figura centrale di tutta la Bibbia, dall’inizio alla fine. Crea, dà la vita, e ci redime.

Ma l’uomo cade. E allora -prima speranza dell’umanità- si annuncia una donna a cui Dio ha concesso il dono di avere una perpetua inimicizia con il serpente, e dalla sua stirpe sorgerà chi schiaccerà la testa del rettile (cioè, lo ucciderà), sebbene questi gli farà del male e ferirà il suo calcagno (Gen. 3,15).

È il Protoevangelo, che non solo menziona il trionfo di Cristo nello schiacciare la testa del serpente dopo un immenso sacrificio –kenosis e una morte di croce (Fil. 2, 7-8), simboleggiato nella ferita del calcagno-, ma altresì, misteriosamente, alla donna da cui sorgerà la stirpe che la distruggerà. Uso quell’avverbio perché se lo scrittore ispirato voleva alludere all’azione redentrice del frutto di quella donna, di Cristo, gli bastava dire: «la stirpe di una donna ti schiaccerà la testa, mentre tu ferirai il suo calcagno«, dando per supposta quell’inimicizia.  Ma punta in realtà molto di più, esprime un’inimicizia radicale serpente-donna, in modo che ella è citata nella Scrittura persino prima della stirpe redentriceL’inimicizia di Gen. 3,15 non si tratta, quindi, di un’antipatia limitata a un determinato momento, ma piuttosto di un’avversione assoluta e permanente, dall’inizio alla fine dell’avventura umana. Semplicemente perché quell’incompatibilità è qualcosa che gli conferisce Dio, il Santo dei Santi; non è qualcosa che sgorga/sgorgherà dalla bontà naturale di quella donna: Inimicizia porrò, con ciò qui parliamo di Grazia, di Dono soprannaturale, che la riflessione cristiana fin da tempi antichi interpretò come l’esenzione da ogni macchia di peccato dal primo istante della concezione. Maria partecipa, come creatura, della santità ontologica di Dio, e partecipa da quando era solo la più bella idea del Creatore da tutta l’eternità. Ma partecipa per una finalità molto specifica, che non è altra che la nostra redenzione.  L’assenza di peccato originale di Maria, con ciò che implica di problematica eccezione alla regola universale (Rm. 5,12 e ss.), non ha senso se non in ordine alla nostra salvezza. Ella fu redenta preventivamente, perché Cristo voleva associarla alla redenzione del genere umano.

È importante, da ultimo, evidenziare che nella traduzione letterale del testo Ebraico Masoretico, della Septuaginta e della Vulgata di San Girolamo, la «stirpe» della donna è l’attore che schiaccia la testa del rettile, mentre nelle prime copie della Vulgata -probabilmente per un errore dello scriba- è quella stessa donna che realizza l’azione. Quell’equivoco provvidenziale, che tanto ha influenzato storicamente la pietà, l’iconografia e la pittura cattoliche, conferma la fortissima vinculazione tra entrambi. Ancora una volta Dio scrive dritto con righe storte. 

In ogni caso, se vogliamo approfondire quella cooperazione dobbiamo trasferirci al momento decisivo della madre, del Figlio e della storia dell’umanità: il santo sacrificio del Calvario.

(2).- Nella fase cenitale della storia della salvezza: la passione e morte del Figlio di Dio.-

Cantano i Salmi: «Ma molto costa a YHWH la morte dei suoi santi» (Sal. 115,15). Il calcagno ferito di Gesù crocifisso compie la drammatica profezia del Genesi. Accanto a Lui  (come indica il Vangelo di Giovanni) la sua benedetta madre, la beata Vergine Maria, la donna nemica del serpente. Cristo è crocifisso e lei è in piedi davanti al suo Figlio sul Monte Calvario. In certo modo anche crocifissa: Trapassata.

Perché a quella donna, in modo oscuro, era stato annunciato il dramma sacerdotale del Calvario, da un profeta dei vecchi tempi -il vecchio Simeone-. Questi gli riferì un’enigmatica -e terribile- profezia proprio nell’istante in cui aveva appena annunciato che il suo Figlio sarebbe stato «segno di contraddizione» (Lc. 2,34). Interpretare questa drammatica profezia, «la spada che trafiggerà l’anima tua», come una mera metafora del dolore di una madre che vede morire crudelmente assassinato il suo Figlio, è avere scarsa idea del senso della profezia biblica. Correggo, è non avere né la minima idea.

Come hanno spiegato i migliori teologi, la profezia ebraica non cerca tanto anticipare fatti futuri, quanto annunciare o spiegare un evento di salvezza, trasmettere la Parola di Dio al popolo, interpretare la storia alla luce della fede di Israele e in ultimo termine, essere un segno di speranza in momenti storici difficili. E che Maria fosse trapassata spiritualmente, allo stesso tempo che il suo Figlio lo sia -inoltre di spirituale, materialmente- è qualcosa che si dice esclusivamente di loro; di nessun altro che si trovasse al Calvario nell’ora della nostra redenzione; né di Maria Maddalena o del discepolo amato. Loro soffrono per Gesù che amano appassionatamente; Maria soffre con Gesù che ha generato nel suo grembo. Maria e Gesù crocifisso condividono lo stesso: un sacrificio per la redenzione dell’uomo. Quello di Maria, derivato e subordinato a quello di Gesù. Ella muore spiritualmente con il suo Figlio, per passare a essere la madre di tutti i peccatori, la madre di ciascuno di noi. Da madre di Dio a madre dei peccatori, la kenosis di Maria, solidale con quella del suo Figlio. Maria, rifugio dei peccatori.

Nel Vecchio Testamento, il profeta Isaia previde le sofferenze del Servo di YHWH, tutte legate a un concreto fine di guarigione, di salvezza. Il Servo:

«Certo portò le nostre infermità e si caricò dei nostri dolori; e noi lo giudicammo castigato, percosso da Dio e umiliato. Ma egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità; il castigo per la nostra pace è caduto su di lui, e per le sue piaghe siamo stati guariti»  (Is. 53,4-5).

Che Simeone abbia predetto alla Beata Vergine Maria quello stesso e drammatico evento del suo trapasso sul monte calvario  (e significativamente dopo il rito della circoncisione del suo Figlio, il suo primo sangue versato), è la constatazione che Dio ha voluto legare le sofferenze di entrambi per la stessa finalità salvifica: Passione di Cristo sulla croce, Com-passione di Maria ai piedi della croce, entrambi trafitti. La Passione del Nostro Signore fu e è il sacrificio perfetto, ma per la sua superabondante carità -per la «larghezza, lunghezza, altezza e profondità del suo amore» (Ef. 3,18)-, era molto conveniente che ci regalasse Maria, la figlia di Sion, affinché con la sua Com-passione, fosse corredentrice, cooperando così, con la sua potente intercessione (così potente che è infallibile), a redimere l’uomo peccatore. E come ho indicato all’inizio e ripeterò una e altra volta, la corredozione mariana non toglie né aggiunge nulla alla redenzione di Cristo, piuttosto la illumina,  manifestandone l’efficacia. ¡A Lui l’unica gloria per averlo voluto e per averlo fatto! E come direbbe Duns Scoto: «lo ha voluto, ha potuto e lo ha fatto». 

Finalmente, la circostanza che lo stesso Cristo abbia consegnato la sua madre al discepolo amato (Gv. 19,26-27), nemmeno può interpretarsi in modo piano come una preoccupazione domestica del Signore davanti alla futura solitudine di Maria. Ella ci è data come madre di tutti e di ciascuno dei cristiani, perché il Signore sa che ne abbiamo bisogno come peccatori che siamo. La commovente frase «e il discepolo la accolse nella sua casa», solo può intendersi in un modo: chi accoglie Maria nella sua casa, nella sua vita e nel suo cuore, e ascolta la sua dolcissima voce che ci chiede: «Fate quello che lui vi dirà» (Gv. 2,5)non deve temere per la sua salvezza.

Ma c’è qualcosa di più rilevante poco dopo quell’episodio. Maria rimarrà costituita come madre della Chiesa. La prova è inequivocabile: la successiva occasione in cui la troviamo nelle Sacre Scritture è nel cenacolo insieme ai discepoli -la prima Comunità cristiana-, «perseverando unanimi nella preghiera» (At. 1,14), in attesa della potente effusione dello Spirito Santo a Pentecoste. Ella, dall’eternità, fu proclamata Madre del Verbo Incarnato; dal calvario, Madre dei peccatori, e dalla resurrezione di Cristo, Madre della Chiesa. E come tale svolgerà la sua ultima missione intercessoria e mediatrice -corredentrice- insieme al suo Figlio in questa ammirevole storia del nostro riscatto fino a che il Signore tornerà e ricapitolerà tutto per la gloria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

(3).- Alla chiusura delle Scritture e di tutta la storia umana, dove si culmina il destino celeste dei redenti.

Dopo la morte terrena di entrambi, continuano a operare la nostra salvezza dal Cielo. Cristo ha trionfato sulla croce, «poiché ha tolto di mezzo il documento accusatorio contro di noi, affiggendolo alla croce» (Col. 2,14). E dopo la sua sepoltura, fu «esaltato alla destra di Dio» (At. 2,33), e «il Cielo deve accoglierlo fino al tempo della restaurazione universale che Dio ha annunciato da tempo per mezzo dei profeti» (At. 3,21).

Per quanto riguarda la beata Vergine Maria «compiuto il corso della sua vita terrena, fu assunta corpo e anima nella gloria celeste» (Bula «Munificentisimus Deus», Pio XII, 1950).

Dal Cielo e durante tutta la storia della Chiesa, Cristo ha offerto e continua a offrire al Padre -attraverso la Santa Messa celebrata in ogni luogo della terra- lo stesso e unico sacrificio per la redenzione dei peccati e per la riconciliazione dell’uomo caduto con Dio. E accanto a Lui, la sua madre -come fece la regina Ester con il re Assuero (Est. 8,4-6)- intercede per i peccatori e riesce a ottenere per noi quanto di buono desidera, come potentissima mediatrice che è. Fino a che il suo Figlio tornerà.

Perché tornerà. E lo farà come monarca di un Regno che non avrà fine e» sottometterà tutto ai suoi piedi», a tutti i suoi nemici, inclusa la morte, che sarà l’ultima sconfitta (1 Cor. 15, 26-27, Ap. 21,4). Un tempo e un Regno che aneliamo, ma che ancora non possiamo comprendere con chiarezza (poiché «vediamo oscuramente» (1 Cor. 13,12), sebbene abbiamo la certezza di fede che si instaurerà. E persino certi indizi della nostra epoca, al mio umile giudizio, puntano a che quei tempi ultimi o finali non sono molto lontani.

E come non poteva essere meno, in quell’ultimo tratto esistenziale che sfocerà nel tempo glorioso dove ci sarà «nuovi cieli e nuova terra dove abiti la giustizia»  (2 Pt. 3,13), madre e Figlio continueranno uniti come dall’inizio sono stati, nella missione di sconfiggere il serpente/diavolo -il peccato-. Ma non sono più solo figure della storia, bensì persone integralmente glorificate per cui la loro unitaria intervento nella fase conclusiva degli annali dell’umanità deve esprimersi profeticamente attraverso il simbolo. E così lo fa magistralmente Giovanni nel libro che chiude con un broccato d’oro le Sacre Scritture.

Infatti, il Cristo glorioso dell’Apocalisse appare mediante tre allegorie, che significano il suo triplice carattere profetico, regale e sacerdotale: un Figlio dell’Uomo, che annuncia il destino delle sette Chiese (sette epoche della cristianità (Ap. 1,13 e ss.);  il Cavaliere regale sul Cavallo Bianco, il quale sconfiggerà l’anticristo e il falso profeta, e incatenerà il diavolo  (Ap. 19, 11-21) e, finalmente,  un Agnello Sgozzato ma traboccante di sapienza e potere, il cui sacrificio ha redento gli uomini (Ap. 5, 6-14). Un’impressionante paradosso, poiché sembra vinto e, tuttavia è l’unico degno di ricevere i titoli esclusivi di Dio: «Potenza, Forza, Gloria, Sapienza e Benedizione» , e ricevere Adorazione (Ap. 5, 12-14).

E lo stesso paradosso -forza/debolezza- lo troviamo nella potente immagine simbolica della bella donna vestita di sole, che rappresenta, allo stesso tempo, la Beata Vergine Maria e l’Israele di Dio o la Chiesa cristiana (Ap. 12,1).

Il suo trionfo si accredita cingendo la sua corona di dodici stelle (la regalità sul Vecchio e il Nuovo Israele, cioè, su tutti i santi), e il suo piede sulla luna, calpestando il paradigma per eccellenza di ciò che è mutevole ed effimero (il mondo, «la prima terra e il mare che scompariranno» -Ap. 21,1-»). La sua debolezza, tuttavia, è il suo doloroso stato di parto e la presenza minacciosa di un sinistro drago rosso che la obbliga a fuggire nel deserto (Ap. 12,2-3), ma che, in ogni caso, non prevarrà contro di lei (Ap. 12,6-7). Sono i tempi drammatici dell’ultima battaglia contro il male, di una Chiesa tornata alle catacombe e del regno effimero di tre anni e mezzo dell’Anticristo, prima della venuta del Signore.

La Chiesa soffrirà e molto. Ma paradossalmente il cristiano è solo forte nella debolezza (2 Cor. 12,10). Dalla mano di Maria dovrà ascendere allo stesso Calvario, per configurarsi con lei nella fede, nell’obbedienza e nella fortezza d’animo davanti al Figlio immolato. Le stazioni del Giovedì e del  Venerdì Santo di Cristo dovranno essere percorse dal suo «corpo mistico», dalla sua Chiesa, nei tempi escatologici, ma sempre nella fervente attesa della Domenica di Resurrezione. E quando la Chiesa -il resto fedele che ne rimarrà-, sarà pienamente identificata con la fede, l’obbedienza e la fortezza spirituale di Maria, intravedrà all’orizzonte il cavaliere regale che la salverà dai suoi nemici. Solo così «si presenterà a Lui (a Cristo) splendente, senza macchia né ruga, ma santa e immacolata» (Ef. 5,27).

Sconfitti per sempre tutti i nemici di Cristo e dell’uomo -l’ultimo sarà la morte (1 Cor. 15,26)-, l’Apocalisse impiegherà la metafora biblica per eccellenza per descrivere il tempo di felicità imperecedera: la beatitudine di nozze e il banchetto degli invitati (cioè, la salvezza degli eletti). Ricordiamo il profeta Osea:

«E ti prenderò in sposa per sempre; sì, ti prenderò in sposa in giustizia e diritto, in amore e misericordia» (Os. 2,21).

Quello che fu prefigurato nelle nozze di Cana -l'alleanza d'amore di Cristo con la sua Chiesa-, si instaura ormai per sempre, e rimarrà il vino migliore, la grazia sovrabbondante di Cristo nella festa del Cielo (Gv. 2,10). Allora contempleremo la Chiesa come Gerusalemme celeste, come sposa adorna che scende a ricevere il suo sposo, l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, e ai cui eterni festeggiamenti di nozze, alla sua celebrazione celeste, sono invitati tutti i credenti. «Acque torrenziali non potranno spegnere l'amore, né i fiumi sommergerlo» (Ct.8,7).

In definitiva, da tutto ciò che abbiamo visto, quattro sono i punti fondamentali della collaborazione corredentrice di Maria nella nostra salvezza: (1).- la Donna del Genesi come profezia; (2).- la Maternità divina di Maria come fatto storico; (3).- l'identificazione piena della Chiesa degli ultimi tempi con Maria sul Calvario, come premessa della gloriosa venuta di Cristo, e (4).- le nozze della Chiesa e dell'Agnello come metafora dell'unità futura ed eterna indissolubile di Maria e Gesù con il suo popolo. Tutti loro puntano inequivocabilmente alla stessa conclusione soteriologica: Gesù Cristo e Maria -lei per decisione amorosa del suo Figlio-, hanno realizzato insieme la nostra salvezza.

Per concludere, quanto è ironico il fatto che molti padri del Concilio Vaticano II per sciocchezze ecumeniche rifiutarono lo schema indipendente sulla Beata Vergine Maria, per collocare il suo trattato come un mero appendice della Costituzione sulla Chiesa, Lumen Gentium, cap.VIII. Malgrado tutto, la misericordia di Dio -non esente a volte da fine ironia- concede il dono profetico ai «sommi sacerdoti», per quanto increduli siano (cfr. Caifa, Gv. 11,51). E, senza saperlo, questi annunciarono un decisivo segno escatologico: aprirono probabilmente l'ultima tappa della storia salutis -come cogliamo nell'Apocalisse-, in cui, come abbiamo visto, la nostra madre e corredentrice si identifica pienamente con la Chiesa cristiana, che soffre ma trionferà. È la Chiesa di Cristo che si presenterà adorna alle sue eterne nozze, così bella come una sposa ingioiellata, e così risplendente come la Gerusalemme celeste che scende dal Cielo per le sue fastose nozze con l'Agnello di Dio (Ap. 21,2). Che tutti noi siamo convocati e ci vediamo felici lì. Che lo sia.

Che il Signore ci conti nel numero dei suoi eletti!

E che la sua beata e dolce madre, corredentrice con Lui, e che è anche madre nostra, assicuri la nostra elezione! A te lo imploriamo noi cristiani; a te lo imploro, madre:

«poiché mai si è udito dire che qualcuno che è ricorso a te, implorando il tuo aiuto e chiedendo il tuo soccorso, sia stato da te abbandonato. Con questa speranza ricorro a te, o vergine delle vergini, e sebbene gemendo sotto il peso dei miei peccati, oso presentarmi al tuo cospetto sovrano. Non respingere le mie suppliche, ma ascoltale e accoglile benignamente, Amen».

A.M.D.G

Aiuta Infovaticana a continuare a informare