L'angoscia del Papa Prevost

di Giorgio Meletti e Federica Tourn

L'angoscia del Papa Prevost

Riproduciamo per interesse informativo del caso Lute l’analisi dei giornalisti italiani Giorgio Meletti e Federica Tourn. Di fronte al silenzio eclatante di gran parte dei media su questo caso che ha trovato eco per diffondere una versione piena di lacune, si aprono analisi più profonde sulla situazione:

Nel libro LEONE XIV – Cittadino del mondo, missionario del XXI secolo, biografia più che autorizzata scritta da Elise Ann Allen, vaticanista amica di Robert Prevost, pubblicata per motivi misteriosi solo in spagnolo e apparsa in coincidenza con il settantesimo compleanno del papa il 14 settembre, in un certo momento c’è una pagina letteralmente incredibile.

Prevost racconta ad Allen il suo ultimo incontro con papa Francesco, ed è da strofinarsi gli occhi e rileggerlo dieci volte per convincersi che l’abbia davvero detto.

Un incontro incredibile

Vediamo prima il contesto. Il 24 marzo Jorge Mario Bergoglio è tornato a Santa Marta, dopo la lunga ospedalizzazione al Gemelli, per morire nel suo letto. Da mesi si parla di conclave e proprio il giorno dopo, il 25 marzo, la rete Snap scrive al Segretario di Stato Pietro Parolin e al prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, Víctor Fernández, per denunciare le presunte malefatte del cardinale Prevost, prefetto del Dicastero per i Vescovi, impegnato a coprire pedofili.

Di queste accuse si discute nel mondo cattolico e nei media da mesi. Gli attacchi a Prevost si collegano direttamente alla marcia di avvicinamento al conclave, per il quale il cardinale statunitense è considerato in pole position, sebbene i candidati italiani e i loro giornalisti di riferimento fingano di non accorgersene.

Subito dopo l’attacco firmato da Snap, papa Francesco convoca Prevost. Ecco il racconto consegnato dal protagonista a Elise Ann Allen:

«Ho ricevuto una telefonata in cui mi si chiedeva di andare in segreto a Santa Marta, e mi hanno detto: “Non lo dica a nessuno”. Il papa voleva vedermi. E non mi hanno detto nient’altro. Così non l’ho detto a nessuno in ufficio, né alla segretaria, a nessuno. Semplicemente sono sparito e ci sono andato. Sono salito per la scala di servizio, e nessuno mi ha visto.

Poi, dopo che mi ha detto ciò che voleva, relativo al lavoro, ai vescovi e ad altri temi che aveva in mente, gli ho detto: “Per sua informazione, Santo Padre, ho pensato che forse il motivo per cui mi aveva chiamato in questo modo era perché voleva la mia rinuncia”. Abbiamo riso insieme.

Quando si irritava con qualcuno, glielo diceva chiaramente, e dato che mi avevano detto di andare e sapevo che ancora non riceveva molte persone, ho pensato: “Oh, e ora cos’è successo?”. Ma ovviamente non mi ha chiesto la rinuncia».

Con apparente noncuranza, il papa lascia all’infosphere una testimonianza imbarazzante per tutta la Chiesa. Perché doveva temere che il papa, sul suo letto di morte, lo chiamasse per licenziarlo? Ci sono due risposte possibili, e sono entrambe imbarazzanti.

La prima è che il successore di Francesco accredita nel modo più ufficiale l’immagine di Bergoglio che l’ha accompagnato negli ultimi anni all’interno della curia: un uomo psichicamente instabile, vendicativo e capriccioso, capace di silurare vescovi e cardinali senza un motivo chiaro.

Quello che ha fatto il 24 settembre 2020 con il cardinale Angelo Becciu, fino a pochi mesi prima suo collaboratore più stretto come sostituto della Segreteria di Stato e, di fatto, numero tre della gerarchia cattolica.

La seconda è che Prevost temesse che Francesco gli presentasse il conto del caso Quispe, lo stesso che ha sollevato Snap: in Perù, tre sorelle abusate quando erano bambine da un sacerdote, che accusano di essere stato coperto da Prevost quando era vescovo di Chiclayo.

Lo temeva davvero, ce lo fa capire nelle righe immediatamente successive del libro, dedicate a ciò che si definisce una campagna di delegittimazione montata proprio sul caso Quispe. Ma come gli è venuto in mente al papa di rendere noto al mondo un pensiero così privato e, proprio per questo, così imbarazzante?

Qualcosa non quadra.

Il settantenne Robert Francis Prevost, dal giorno in cui è stato eletto papa et sibi imposuit il nome Leone XIV, ha voluto presentarsi come un uomo tranquillo, mansueto ma fermo, un montaliano “un uomo che va sicuro, amico degli altri e di sé stesso, e che non si preoccupa della sua ombra”.

E mentre tutta la stampa mondiale, servile come ordina lo spirito dei tempi, con toni lirici assicura ogni giorno il suo autoritratto, l’uomo di Chicago non fa altro che seminare indizi di segno opposto: come se volesse disperatamente informarci che vive con paura, e che la sua ombra lo angustia.

Quello che lo tiene sveglio la notte, a quanto pare, è proprio questa storia di abusi sessuali commessi da un sacerdote peruviano una ventina di anni fa; una storia in certo senso minore —detto con tutto il rispetto per le vittime— se la si confronta con i migliaia di veri orrori quotidiani con cui i preti dei cinque continenti mettono sistematicamente in pericolo la stessa esistenza della Chiesa cattolica. Ma non c’è niente da fare.

Da due anni, cioè da molto prima di diventare papa, Prevost è ossessionato dal sospetto di aver coperto il pedofilo Eleuterio Vásquez González, noto come padre Lute, nonostante il coro (quasi) unanime di sacerdoti, vescovi, vaticanisti e giornalisti amici che considerano quelle accuse false e manipolate, ordite da un ex agostiniano in conflitto con Prevost da una trentina di anni.

Appena eletto Prevost l’8 maggio 2025, lo scheletro è uscito dagli armadi dei siti cattolici più tradizionalisti senza che si vedesse un movente politico, dato che con il papa di Chicago il pendolo della Chiesa torna verso la tradizione; basti pensare alla messa in latino celebrata a San Pietro dal supertradicionalista cardinale Raymond Burke il sabato 25 ottobre.

In effetti, questi siti si sono limitati a riprendere una notizia data dalle organizzazioni di vittime di abusi, in primis Snap (Survivors Network of those Abused by Priests). In sintesi, ciò che toglie il sonno a Prevost non sono gli attacchi politicamente orientati ma i fatti: un passato che non vuole passare, almeno nella sua mente.

E così, la biografia autorizzata scritta dalla sua amica Elise Ann Allen dedica uno spazio smisurato alla drammatica storia delle tre sorelle peruviane —Ana María, Aura Teresa e Juana Mercedes Quispe Díaz—, tutte e tre abusate dal padre Lute quando erano bambine (tra i 9 e i 13 anni) e che solo molti anni dopo hanno trovato la forza di denunciare i fatti al loro vescovo che, nel 2020 —quando inizia il tormento—, era proprio il vescovo di Chiclayo, Robert Prevost.

Per 25 pagine, Allen accompagna una appassionata difesa interamente scagionatoria di Prevost, che si lascia citare ampi stralci del suo punto di vista. Tuttavia, deve dare la parola anche ad Ana María, la più determinata delle sorelle Quispe.

Questa conferma le accuse in modo molto incisivo. Afferma, in sostanza, che quando lei e le sue sorelle andarono a parlare con Prevost lui fu molto gentile e comprensivo, ma non denunciò il padre Lute alla procura (come avrebbe dovuto fare in obbedienza al motu proprio Vos estis lux mundi, promulgato da Francesco il 9 maggio 2019), e aprì solo formalmente la cosiddetta “indagine preliminare”, senza fare nessuna indagine reale e senza prendere dichiarazione scritta della testimonianza delle vittime.

Scrive Allen, concludendo quelle 25 pagine minutissime: «Contrariamente a quanto affermano altre testimonianze citate in questo libro, Ana María sostiene che, sebbene la diocesi [cioè Prevost, ndr] abbia aperto il caso, non ha condotto un’indagine, col pretesto che “nella Chiesa non esiste un modo per indagare”.

Tuttavia, come ha confermato il Vaticano, a Roma esiste effettivamente un fascicolo, il che dimostrerebbe che è stata condotta un’indagine.

Quispe insiste che in detto dossier esiste solo “un foglio”, il che significherebbe, secondo lei, che non c’è stata un’indagine adeguata, e accusa la diocesi di aver utilizzato l’archivio del suo caso civile per chiuderlo anche a Roma».

In sintesi, Allen non può tacciare Quispe di bugiarda e lascia il lettore con il dubbio se Prevost abbia davvero motivi per non dormire la notte.

Ancora di più perché la conferma vaticana dell’esistenza del fascicolo con l’indagine preliminare è solo un off the record anonimo: il Segretario di Stato, Pietro Parolin, come vedremo, non ha mai detto né ha permesso che si dicesse una parola in difesa dell’allora prefetto Prevost.

Da qui nasce il verdetto di Allen, che si mantiene tra l’incerto e l’ambiguo: «Alla fine, ciò che risulta chiaro è che non si tratta di un caso di abuso come tanti altri, ma di uno in cui un genuino sforzo per aiutare le vittime si è scontrato con molti interessi particolari, personali e istituzionali, con l’elezione del papa Leone XIV e, in mezzo a tutto ciò, tre donne sono rimaste disorientate, sentendosi utilizzate».

Ma qui la questione non è determinare se hanno eletto papa un protettore di pedofili, tema che, in realtà, nessuno ha posto in questi termini, anche perché, come direbbero i vaticanisti togati (per non prendere partito, nel dubbio), ogni pontefice ha le sue luci e le sue ombre.

Il tema che salta agli occhi è l’angoscia di Prevost, che il libro di Allen riflette con tanta chiarezza da farci chiedere perché il pontefice abbia deciso di cacciarsi nei guai da solo.

Il secondo scivolone

Nella biografia autorizzata scritta da Elise Ann Allen c’è un secondo scivolone del papa. L’autrice, che rivendica la sua amicizia con Robert Prevost, racconta un incontro con il cardinale poco prima che morisse papa Francesco: «Quando ci siamo riuniti nel suo ufficio, ricordo di avergli detto che si parlava di lui come papabile se le cose andavano male per Francesco, e gli ho chiesto se questo lo infastidiva. Mi ha risposto con decisione di no, che non era affatto nervoso, perché “non eleggeranno mai un statunitense”».

Due mesi dopo il conclave, intervistato da Allen per il libro, Prevost lascia cadere, senza apparente motivo, un altro elemento che lo rendeva scettico sulle sue possibilità di diventare papa, oltre al “non eleggeranno mai un statunitense”. Alla domanda se ci fosse anche solo una parte di lui che pensasse all’elezione, Leone XIV risponde:

«Sinceramente, no. Cioè, cercavo di non pensarci, perché altrimenti probabilmente non avrei potuto dormire. Ma la notte prima di entrare in conclave, sono riuscito a dormire perché mi sono detto: «Non eleggeranno mai un statunitense come papa». È stato come appoggiarmi su quel pensiero, una specie di «Rilassati. Non lasciarti montare la testa».

Perché, ovviamente, durante la congregazione, nelle riunioni preliminari al conclave, avevo sentito un paio di cose. C’erano alcuni rumors.

Ma ho anche pensato al caso di cui mi chiedevi prima [quello delle denunce a Chiclayo, sic], che preoccupava alcuni degli altri cardinali, se questo tema degli abusi sessuali poteva essere un problema, e ad altre ragioni, l’esperienza, il poco tempo come vescovo, come cardinale.

E allora è stato quando ho pensato al vecchio e famoso adagio che la gente semplicemente diceva: «Non ci sarà un papa americano».

Chissà perché Prevost sente il bisogno di comunicare al mondo pensieri così intimi ed esplosivi. La stessa Allen ha raccontato, poche pagine prima, che nel 2023 Ana María Quispe ha iniziato ad accusare pubblicamente Prevost di aver coperto il pedofilo Eleuterio Vásquez Gonzáles, noto come padre Lute, e che la notizia è stata spinta da una serie di siti cattolici ostili a Prevost, tra i quali cita lo spagnolo infovaticana.com e l’italiano Nuova Bussola Quotidiana (lanuovabq.it).

Allen non lascia spazio a dubbi: questo avviene «mentre la salute di Francesco cominciava a declinare e un conclave sembrava imminente».

Quasi tutta la stampa internazionale considera false e strumentali le accuse contro Prevost, anche dopo che sono state rilanciate il giorno dopo la sua elezione come papa. Tuttavia, Prevost confessa al mondo intero che, una volta iniziato il conclave, gli preoccupa che «questo tema degli abusi sessuali possa essere un problema» per la sua elezione come papa.

Il che, brutalmente, può significare due cose: o che lo stesso Prevost considerava la questione del padre Lute uno scheletro nel suo armadio, o che il futuro papa temeva che all’interno del conclave le accuse (suppostamente false) di copertura di un pedofilo potessero essere usate in malafede dai cardinali ostili alla sua elezione. In faccia allo Spirito Santo…

Al timore di Prevost —così confessato con tanta ingenuità— di perdere l’elezione a papa a causa degli abusi sessuali del padre Lute, può probabilmente attribuirsi un altro dei tanti episodi singolari di questa storia.

L’ha raccontato il quotidiano spagnolo El País il 1° ottobre 2025, in un lungo articolo apparentemente destinato a rilanciare la tesi già sostenuta dallo stesso quotidiano subito dopo l’elezione di Leone XIV.

L’articolo sostiene che Ana María Quispe, in un’intervista, ammette che lei e le sue sorelle sono state manipolate dall’avvocato Ricardo Coronado, sacerdote agostiniano in pessimi rapporti con Prevost da circa 30 anni, che le avrebbe usate per una campagna diffamatoria contro un cardinale papabile.

Ma Quispe ha reagito all’articolo con una dura smentita e una minaccia di azione legale, reiterando un’ovvietà: l’uso strumentale che Coronado ha fatto delle sue accuse contro Prevost non significa che quelle accuse siano false.

Ma l’articolo di El País, che sembra orientato a smontare definitivamente le accuse contro Prevost, contiene anche una rivelazione sconcertante: il 23 aprile, a sole 48 ore dalla morte del papa Bergoglio, il vescovo di Chiclayo, Edinson Edgardo Farfán, riceve le sorelle Quispe per trovare una soluzione “definitiva” al loro triste caso. Ecco il racconto di El País:

Quispe racconta che a gennaio di quest’anno si è riunita con il nuovo vescovo di Chiclayo, Edinson Edgardo Farfán, nominato nel 2024. «E lui mi ha detto: «Cosa volete che facciamo?». E io gli ho risposto: «Hanno lì un pedofilo! Come devo dirvelo? Piuttosto ditemi cosa pensate di fare con quel pedofilo che avete lì»».
Secondo Quispe, Farfán l’ha invitata a denunciare di nuovo il caso alla Chiesa e le ha assicurato che, questa volta, sarebbe stato diverso. L’incontro ha avuto luogo il 23 aprile, ma quando le vittime sono arrivate, è stato loro comunicato che padre Eleuterio aveva chiesto di abbandonare il sacerdozio.

Di conseguenza, è stato loro detto che non c’era più niente da fare, poiché lui non avrebbe più fatto parte del clero. «Abbiamo chiesto se quello era la fine di tutto, e ci hanno detto che quella era la pena massima», ricorda Quispe.

Da un lato, allora, c’è un Prevost preoccupato che il caso Quispe possa essere usato contro di lui per frenarlo nella corsa al papato, ma anche timoroso che il papa Francesco moribondo gli chiedesse di dimettersi per quello.

Dall’altro lato c’è Farfán, nominato nel 2024 da Prevost nel suo nuovo ruolo di prefetto dei vescovi, ma anche agostiniano e discepolo e amico suo, che, non appena Bergoglio muore e i papabili si mettono in moto, come i cavalli del Palio di Siena, «alle corde» per l’inizio del conclave, convoca le tre Quispe per dir loro che il caso è chiuso.

L’abusatore lascia la Chiesa e quindi non può più essere processato, anche perché, in ogni caso, la sanzione più dura —la riduzione allo stato laicale— se l’è imposta da solo. Ma la sanzione più crudele la impone il vescovo Farfán, discepolo e amico di Prevost, alla povera Ana María Quispe, quando le racconta che il padre Lute ha ammesso i fatti, sottolineando che non li considera reati.

Quispe dichiara a El País: «Ha confessato, ma dice che non lo considera un reato. Non credo che per loro abusare di una bambina sia normale, ma è solo un peccato, nient’altro».

Il boomerang del Sodalicio

Prevost e la sua amica giornalista devono essere stati pressati dalla fretta di pubblicare la biografia autorizzata in coincidenza con il settantesimo compleanno del papa.

L’intervista che costituisce la sua spina dorsale è stata registrata il 10 luglio 2025, appena due mesi prima della pubblicazione del libro. E sembra che non ci sia stato tempo per verificare con la dovuta attenzione alcune incongruenze.

Come abbiamo visto, da certe parole vacillanti di Prevost pubblicate in Cittadino del mondo si desume una preoccupazione inspiegabile e incontrollata per la storia delle tre sorelle Quispe che oggi accusano proprio il papa di aver coperto il loro aggressore quando era vescovo di Chiclayo.

Il papa vuole affrontare il tema per dissipare le nubi che si addensano sulla sua recente elezione, ma sembra farlo senza la necessaria lucidità e con risultati disastrosi.

Alla pagina 264, Prevost afferma che il 5 aprile 2022, quando le tre sorelle Quispe si recarono da lui per denunciare la violenza subita dal padre Lute, lui credette alla loro verità e garantì loro ogni tipo di attenzione, solidarietà e supporto. Poi, aggiungendo ad abundantiam (come dicono in Vaticano) un argomento in più ai tanti già evocati a favore della sua rettitudine, lancia il boomerang:

«Purtroppo, la giustizia nella Chiesa, così come la giustizia in Perù e in molti altri luoghi, richiede molto tempo. Questi processi sono molto lenti. Questo caso in particolare è diventato più complicato, perché non molto dopo che loro hanno presentato le accuse, sono stato trasferito dalla diocesi [di Chiclayo, ndr]».

Questa frase, come vedremo, risulta problematica per vari motivi. Tuttavia, il senso voluto da Prevost è chiaro: vuole far sapere al mondo che, dopo il 13 aprile 2023, quando è partito per Roma essendo stato nominato da papa Francesco prefetto del Dicastero per i Vescovi, non ha più potuto occuparsi del caso, e che ciò ha contribuito a che le cose non fossero soddisfacenti per le tre vittime di abusi a cui lui aveva garantito ogni tipo di supporto.

Ma su questo punto il racconto non è preciso. Dopo la fumata bianca dell’8 maggio, i media di tutto il mondo hanno trattato in ogni minimo dettaglio il caso Quispe, sia per accusare Prevost sia per difenderlo dalle accuse, per cui ci si aspetterebbe dal papa e dalla sua biografa lo stesso livello di attenzione ai dettagli.

Secondo Allen, dopo che le tre sorelle Quispe andarono da Prevost a denunciare il padre Lute il 5 aprile 2022, avviene quanto segue (p. 248):

«Il sacerdote Vásquez Gonzales ha negato qualsiasi abuso, sostenendo che la situazione era un malinteso. Tuttavia, il vescovo Prevost ha aperto un’indagine preliminare e ha imposto restrizioni, proibendogli il ministero pubblico e, di conseguenza, l’esercizio come parroco e l’ascolto delle confessioni, sebbene potesse continuare a celebrare messa in forma privata.

A luglio 2022, i risultati dell’indagine preliminare sono stati inviati al Dicastero per la Dottrina della Fede del Vaticano. Due mesi dopo, a settembre 2022, quest’ultimo ha contattato Prevost per chiedergli di approfondire ulteriormente l’indagine e fornire maggiori informazioni.

Sette mesi dopo, il 3 aprile 2023, il procuratore civile ha archiviato il caso per prescrizione, come previsto, e il 12 aprile Prevost è stato nominato prefetto del Dicastero per i Vescovi, e ha iniziato i preparativi per trasferirsi a Roma.

L’8 ottobre dello stesso anno, dopo che monsignor Prevost aveva già lasciato la diocesi, il Dicastero per la Dottrina della Fede ha archiviato il caso contro Vásquez Gonzales pro nunc, cioè “per ora”, per mancanza di prove: le accuse erano difficili da dimostrare e non erano state presentate altre denunce, né prima né dopo, da parte delle sorelle Quispe Díaz».

Attenzione ai dettagli. Il 10 settembre 2024, la diocesi di Chiclayo emette un lungo comunicato per respingere le accuse contro Prevost lanciate due giorni prima da Ana María Quispe attraverso il popolarissimo programma televisivo peruviano Cuarto Poder.

Secondo la diocesi —guidata da un discepolo e amico di Prevost— la situazione del padre Lute era stata archiviata dalla magistratura peruviana per prescrizione «nel primo trimestre del 2023», e il 3 aprile, a differenza di quanto scritto da Allen, è stato Prevost, ancora vescovo di Chiclayo per altri dieci giorni, a inviare la sentenza di prescrizione al Dicastero per la Dottrina della Fede «come documentazione aggiuntiva».

Un osservatore malevolo potrebbe notare che la prescrizione nel ambito civile per fatti così lontani nel tempo è ovvia quanto irrilevante per il processo ecclesiastico, che la esclude esplicitamente per gli abusi su minori. Prevost, così prodigo di considerazioni e dettagli sul caso Quispe, avrebbe potuto spiegare alla sua biografa il suo zelo nell’informare la curia vaticana che il padre Lute era uscito impunito dalla giustizia peruviana.

Alla quale, d’altra parte, il pedofilo Vásquez Gonzáles era stato denunciato dalle vittime, mentre Prevost si era astenuto dal farlo, contro quanto indicato nel motu proprio Vos Estis Lux Mundi di papa Francesco.

Ma restiamo al punto essenziale. Prevost insiste molto nel far sapere che, se il caso Quispe ha avuto un’evoluzione insoddisfacente, ciò si deve al suo trasferimento a Roma; cioè al fatto che non ha più potuto occuparsi della questione.

Questo argomento suonerebbe offensivo per i suoi successori a Chiclayo se non fosse chiaramente falso. In realtà, Prevost non ha voluto occuparsi più della faccenda: se avesse voluto, avrebbe potuto farlo, e la prova ce la offre lo stesso papa, in un altro momento di distrazione, alla p. 208 della sua biografia autorizzata.

Prima, però, è necessario capire il contesto in cui Leone XIV commette questo autogol. Accanto al caso Quispe, negli ultimi anni si è sviluppata in Perù la storia del Sodalitium Christianae Vitae, una potente società di vita apostolica fondata dal teologo Luis Fernando Figari e benedetta da Giovanni Paolo II.

Secondo la tradizione di queste strutture cattoliche con leader carismatico, anche nel Sodalicio l’attività principale sembrava essere stata l’abuso psicologico, fisico e sessuale di minori.

Al punto che è stato Francesco, nell’agosto 2024, a espellere Figari dal Sodalicio per poi sciogliere l’istituto nel gennaio 2025. Nella battaglia contro Figari e il Sodalicio, Prevost è in prima linea.

Così, quando Ana María Quispe accusa l’ex vescovo di Chiclayo di aver coperto il padre Lute, il coro in difesa del papa sostiene che la sua inflessibilità con il Sodalicio dimostra l’infondatezza dell’accusa di connivenza silenziosa con il padre Lute.

Ancora di più, dicono gli amici di Prevost, che dopo la dura sanzione contro Figari sono proprio gli amici dell’Associazione a amplificare le accuse di Quispe.

Mentre Pedro Salinas e Paola Ugaz, due giornalisti peruviani che nel 2015, con il loro libro di inchiesta di successo Mitad monjes, mitad soldados, sono stati i promotori dell’indagine su Figari e il Sodalicio, difendono il papa con le unghie e con i denti. E che oggi raccontano che, aggrediti dal potente Sodalicio, per dieci anni hanno potuto contare sull’amicizia e il supporto di Robert Prevost.

Ed è qui che inizia il boomerang. Sebbene l’inflessibilità con il Sodalicio in sé non smonti le accuse di Ana María Quispe —nella storia dei sacerdoti pedofili, «due pesi e due misure» è la norma—, alla pagina 208 Allen si concentra proprio sul tema dell’implicazione di Prevost nel caso del Sodalicio:

«… In relazione a un incontro che ha avuto con l’allora cardinale Prevost durante una visita a Roma nell’ottobre 2024 (…) Salinas ha raccontato che l’attuale papa si era tenuto aggiornato sulla questione. Così, in un’e-mail di follow-up del 16 ottobre 2024, Prevost ha insistito, secondo Salinas, sulla necessità di giustizia: «Dobbiamo continuare a lavorare per arrivare a una conclusione giusta di questo processo».

Salinas racconta che l’attuale pontefice gli ha scritto ringraziandolo per il suo lavoro e il suo impegno: «Grazie. Buon viaggio. Spero che presto possiamo porre fine a questa storia. [Ora] continuiamo a lavorare per aiutare la Missione Speciale di Scicluna e Bertomeu», ha scritto Prevost.

Alla fine, la Missione Speciale, nonostante la forte pressione e i tentativi di screditare il suo lavoro, si è conclusa con la soppressione della Sodalità di Vita Cristiana e delle altre tre comunità fondate da Figari».

In sintesi, alla pagina 262, il Papa dice che, avendo lasciato la diocesi di Chiclayo, non ha più potuto occuparsi delle tre sorelle Quispe e del sacerdote che le aveva abusate quando erano bambine, sebbene avesse sempre creduto alle loro accuse.

Alla pagina 206, il giornalista Salinas riconosce che a Roma ha continuato a occuparsi dell’indagine sul Sodalicio, che formalmente non lo riguardava, da una distanza di diecimila chilometri: «si era tenuto aggiornato» e si proponeva «di lavorare per aiutare la Missione speciale di Scicluna e Bertomeu», i due investigatori della Dottrina della Fede inviati da Bergoglio per chiudere i conti con l’abusatore Figari.

Così, anche per Leone XIV, come per il suo predecessore, ci sono abusatori a cui fare finta di niente e abusatori da perseguire senza tregua. La cosa sorprendente è che sia lui stesso a comunicarlo, senza tener conto di una coincidenza imbarazzante: negli stessi giorni della sua e-mail a Salinas, Ana María Quispe, al culmine della disperazione, scrive a papa Francesco una lunga lettera, una dura accusa che culmina in questa frase:

«La diocesi di Chiclayo, dove hanno esercitato come vescovi monsignor Robert Prevost Martínez, poi monsignor Guillermo Cornejo Monzón e attualmente monsignor Edison Farfán Córdova, in dichiarazioni separate e prive di veridicità, ha assunto una tenace difesa a favore del sacerdote accusato di abusi su minori».

Ma Prevost era già lontano.

Il ruolo di Parolin, l’arci-nemico

Tra le molte rivelazioni sorprendenti che Prevost ha deciso di includere nella sua biografia autorizzata, quella che sembra premeditata per natura, e non frutto di una distrazione, si riferisce all’esistenza di un lobby ostile che ha cercato di screditarlo prima del conclave che l’ha eletto papa; che, evidentemente, è guidato dal segretario di Stato Pietro Parolin; e che ha usato come arma per screditarlo proprio il caso delle tre sorelle Quispe che, nell’aprile 2022, nella diocesi di Chiclayo, in Perù, denunciarono all’allora vescovo Prevost di aver subito abusi sessuali quando avevano tra i 9 e i 13 anni da parte del popolare sacerdote Eleuterio Vásquez Gonzáles, noto come padre Lute.

Prevost avrebbe coperto il sacerdote pedofilo, secondo le accuse di Ana María Quispe, e oggi sembra così ossessionato da questa storia da lasciar cadere continue segnali di angoscia, come le briciole che Pollicino lasciava cadere dopo il tradimento dei suoi genitori.

E, di fatto, sembra che nella vita della Chiesa i fratelli di Prevost non siano meno spietati del padre e della madre di Pulgarcito: solo che lui non è l’astuto bambino della fiaba di Perrault, ma il papa, il capo assoluto dei cinici fratelli.

Riassumiamo. Attraverso la biografia autorizzata di Elise Ann Allen Prevost, sappiamo tre cose: a) che un giorno papa Francesco lo chiamò e lui temette che gli chiedesse di dimettersi, forse per i sospetti che lo accompagnavano nel caso Quispe; b) che, una volta iniziato il conclave, quando sentì parlare di sé come papabile forte, temette che i suoi fratelli gli facessero pagare l’accusa di aver coperto un pedofilo; c) che, effettivamente, dopo aver lasciato Chiclayo (13 aprile 2023) per andare a Roma, dove è diventato prefetto del Dicastero per i Vescovi, non si è più occupato del «padre Lute» (che alla fine l’ha avuta vinta), ma ha seguito da vicino e sostenuto l’indagine vaticana sulla Sodalità.

Quale trattamento è riservato a Parolin nel libro di Allen LEONE XIV – Cittadino del mondo, missionario del XXI secolo?

Parolin è menzionato solo quattro volte. La prima, alla pagina 224, per dire che alla vigilia del conclave lui e il cardinale filippino Luis Antonio Tagle erano più accreditati di Prevost come papabili; le altre tre in poche righe della pagina 266, nel racconto delle quattro votazioni del conclave che videro naufragare rapidamente le ambizioni del segretario di Stato di fronte al crescente consenso sul nome di Prevost.

Parolin era e rimane pro nunc, come si dice in curia, segretario di Stato, cioè il numero due della gerarchia cattolica. Ma la biografia autorizzata di Prevost lo cancella. Se si leggono attentamente i fatti, si capisce il motivo.

Il 1° ottobre 2025, El País ha pubblicato il lungo articolo di cui abbiamo già parlato per sostenere che le tre sorelle Quispe avrebbero ammesso di essere state usate dall’ex agostiniano Ricardo Coronado, assunto da loro come avvocato, per una campagna diffamatoria contro Prevost presentata come ritorsione per il suo impegno contro la Sodalità di Luis Fernando Figari.

L’articolo di El País è firmato da Paola Nagovitch e Íñigo Domínguez. Nagovitch ha registrato un’intervista di due ore con Ana María Quispe, che, proprio usando la registrazione come prova, ha smentito categoricamente El País in una lettera.

Questo punto non è molto solido per Leone XIV e, d’altra parte, l’articolo di El País esce due settimane dopo la biografia di Prevost che, come abbiamo visto, rilancia più o meno goffamente il caso Quispe con la sua scia di veleno.

Anche la biografa autorizzata Allen, il 2 aprile 2025, mentre Bergoglio è ancora vivo e Prevost, come ci ha fatto sapere, teme che il caso Quispe gli danneggi la corsa al papato, scrive un articolo destinato a dimostrare che le accuse contro Prevost lanciate il 25 marzo dalla rete di sopravvissuti Snap stanno venendo diffuse da Coronado. Questi, nel frattempo, è stato prima inabilitato dall’avvocatura nei tribunali ecclesiastici e poi addirittura espulso dal sacerdozio da Bergoglio con l’accusa di gravi delitti di abuso sessuale, con violazione del sesto comandamento e dei paragrafi 1 e 3 del canone 1395, per essere precisi. Così, le sorelle Quispe sono rimaste anche senza avvocato.

Più recentemente, Coronado ha denunciato che nel processo (secondo lui manipolato) che l’ha espulso dalla Chiesa, Prevost ha svolto un ruolo decisivo. Allen riferisce anche la posizione di Snap, che sembra logica: «Riguardo alla riduzione allo stato laicale di Coronado e all’affermazione che ci sarebbe un risentimento personale verso Prevost, Snap ha dichiarato: “Ciò che importa sono i fatti sottostanti al caso, e le motivazioni del canonista sono irrilevanti”».

Ed è qui, quando Prevost non è ancora papa, che Allen ci introduce nei meandri delle lotte di potere vaticane. Scrive che nel 2024, quando in Perù iniziano a circolare le accuse contro Prevost, un funzionario vaticano non identificato le dice (in confidenza) che la questione è stata esaminata e verificato che Prevost non aveva coperto il pedofilo padre Lute, ma ha agito secondo le norme. E che alla fine di marzo 2025, quando Snap rilancia le sue accuse alla vigilia del conclave imminente, è stata la stessa segreteria di Prevost a Roma (forse lo stesso Prevost, data l’amicizia e il racconto di un incontro a quattr’occhi tra i due in quei stessi giorni) a respingere le accuse.

Nel punto più critico, la «segreteria di Prevost» si mostra maldestra: «Riguardo all’affermazione che Prevost non si è messo in contatto con le autorità civili, l’ufficio di Prevost ha dichiarato che lui ha parlato con l’avvocato diocesano dopo che le donne si sono presentate, e che gli è stato riferito che il caso non sarebbe stato oggetto di indagine civile «a causa della prescrizione». Maldestra, ma anche molto debole.

Da un lato, si sostiene che le accuse sono inventate da un ex agostiniano che lo odia; dall’altro, l’unico argomento che l’ex vescovo di Chiclayo può portare in sua difesa è che non ha fatto la denuncia alla magistratura (che come vescovo aveva almeno l’obbligo morale di fare) perché l’avvocato della diocesi gli ha detto che era inutile, che tutto era prescritto.

Un argomento da avvocaticchio che si trova agli antipodi dell’«essere dalla parte delle vittime» con cui la Chiesa cattolica si lava la bocca ogni giorno per dissimulare la sua ermetica e generalizzata legge del silenzio.

Prevost è lasciato solo dal suo rivale

Ma una difesa così maldestra può avere una spiegazione. Prevost si sente in pericolo, ha compreso che l’attacco vero viene dall’interno del Vaticano. E da quel momento, anche dopo la sua elezione come papa, inizia a far circolare indizi cifrati per segnalare a chi vuole intendere che era il segretario di Stato Pietro Parolin chi stava dietro alla campagna destinata a neutralizzare uno dei concorrenti più pericolosi (il più forte, col senno di poi) nella corsa alla successione di Francesco.

Paola Nagovitch e Íñigo Domínguez, i due giornalisti di El País che il 1° ottobre 2025 firmano la controversa (e smentita) intervista ad Ana María Quispe, sono senza dubbio dalla parte di Prevost. Il 12 giugno 2025, circa un mese dopo l’elezione di Leone XIV, scrivono in sua difesa un lungo articolo che, già dal titolo, non si gira intorno: «Una campagna che è stata anche alimentata all’interno del Vaticano».

L’allusione è chiara. Dopo aver ricordato che le accuse contro Prevost provengono dagli amici della Congregazione e che l’avvocato espulso dal sacerdozio Coronado è un peccatore senza remissione, eccetera, eccetera, arriva la novità: «Il futuro papa è stato anche oggetto di una campagna interna in Vaticano, dove era già considerato uno dei favoriti per il conclave che doveva eleggere il successore di Francesco».

A seguire, citano una «fonte ecclesiastica latinoamericana vicina al pontefice» anonima che afferma: «Padre Robert ha sofferto molto nell’ultimo anno perché nessuno in Vaticano è uscito in sua difesa. Si è sentito abbandonato».

Queste frasi sembrano pronunciate da Prevost. In ogni caso, si tratta di affermazioni e citazioni molto esplicite che non sono state smentite, né matizzate né precisate da nessuna delle parti. La stampa internazionale più autorevole in materia parla del nido di vipere che c’è in Vaticano e di come tutta la curia finga di non accorgersene.

Nell’articolo di El País, è la stessa fonte anonima a insistere: le accuse pubbliche contro Prevost per aver coperto il sacerdote pedofilo Eleuterio Vásquez Gonzáles, noto come padre Lute, iniziano nella primavera del 2024, un anno prima del conclave, quando si sa già che Bergoglio sta arrivando alla fine del suo mandato.

Il prefetto dei vescovi è legittimamente preoccupato per la sua reputazione e le sue ambizioni pontificie, entrambe in pericolo. Nagovitch e Domínguez, spiegando che per Prevost i dodici mesi che hanno preceduto la sua elezione come papa sono stati un autentico calvario («ordeal»), scrivono:

«Il cardinale si aspettava che la Santa Sede intervenisse in sua difesa, secondo quanto riferito da una fonte ecclesiastica latinoamericana vicina al Papa. Tuttavia, in un anno segnato da controversie, fino al suo nombramento come nuovo pontefice, le uniche risposte alle accuse contro Prevost sono provenute dalla diocesi di Chiclayo.

“Prevost ha sofferto molto in quel periodo. Sentiva che il Vaticano non lo difendeva e non smentiva nulla. Vedeva passare i mesi senza nessuna reazione. È stato un anno di silenzio. L’hanno lasciato cuocere a fuoco lento, forse perché era già un candidato evidente al conclave”, ha detto la fonte».

Chi doveva rispondere alle accuse? Tocca a Parolin, capo del Governo vaticano, di cui Prevost era, in certo senso, ministro. E, in ogni caso, tocca alla struttura di comunicazione, diretta dal prefetto Paolo Ruffini, che dipende, comunque, da Parolin.

Ruffini, prefetto come Prevost, ha lottato come un leone, pubblicamente, in difesa dell’abusatore seriale Marko Rupnik perché era amico del Papa, ma non ha mai detto una parola su Prevost, che ora ci fa sapere di aver sofferto molto perché la Chiesa l’ha lasciato cuocere a fuoco lento.

Di fatto, El País ha chiuso l’articolo del 12 giugno con una domanda inquietante per Parolin e i suoi fedelissimi: «Resta da vedere cosa accadrà ora che Leone XIV è al comando e sa che una parte della Curia è contro di lui».

Il tradimento di Parolin

Parolin non ha nemmeno finto di accorrere in aiuto di Prevost. Tra l’altro, alla vigilia del conclave gli si accusava anche di aver collaborato nella copertura degli abusi sessuali.

Cinque giorni prima del conclave, Anne Barrett Doyle, leader di bishop-accountability.org, l’associazione internazionale che documenta e denuncia gli abusi sessuali dei sacerdoti cattolici, ha lanciato una dura accusa contro il segretario di Stato, che in quel momento i giornali italiani davano come grande favorito nella corsa al papato.

Proprio come segretario di Stato, secondo Bishop-accountability, negli ultimi dieci anni ha rappresentato, per i magistrati di tutto il mondo, il baluardo insuperabile eretto da papa Bergoglio in difesa della vergogna segreta della Chiesa, cioè i sacerdoti pedofili: investigatori di molti paesi gli chiedevano documenti su migliaia di casi di sacerdoti pedofili. Lui glieli negava.

Tuttavia, tra i delicati documenti che Parolin tiene sotto chiave c’è anche la «indagine preliminare» sul padre Lute che Prevost, allora vescovo di Chiclayo, ha inviato a Roma nel luglio 2022, solo tre mesi dopo l’incontro con le sorelle Quispe.

È vero, come sostiene Ana María Quispe, che il presunto fascicolo giudiziario consisteva in un solo foglio, cioè che era una burla? O hanno ragione gli amici di Prevost, secondo i quali si tratta di un’indagine con tutte le carte in regola e conforme a tutte le norme?  Parolin conosce la verità e tace come una sfinge.

Solo il 27 maggio 2025, venti giorni dopo l’elezione di Prevost e dopo centinaia di articoli avvelenati sul caso Quispe —con gli uomini di Leone XIV che gli imploravano di uscire a smentire ciò che, secondo loro, era già una campagna diffamatoria non contro il suo rivale nel conclave, ma contro il papa e quindi contro tutta la Chiesa—, Parolin fa una mossa così assurda da essere unanimemente giudicata come una beffa rivolta a Prevost, il rivale che gli aveva strappato un’elezione che credeva sicura.

Parolin si fa intervistare da Vatican News, il sito ufficiale della Chiesa, dal direttore editoriale Andrea Tornielli, il vice di Ruffini. Tema dell’intervista: le guerre in Ucraina e Gaza. A un certo punto, verso la fine, Tornielli formula una domanda apparentemente incomprensibile: «Negli ultimi tempi del Papa Francesco e fino ai giorni precedenti il conclave, ci sono stati commenti sull’operato, nel passato, di vari Capi dei Dicasteri della Curia riguardo a denunce che hanno ricevuto su casi di abuso. Sono stati analizzati?».

La risposta di Parolin è altrettanto incomprensibile, e per questo magistrale: «Riguardo a commenti e rumors sull’operato di alcuni Capi dei Dicasteri della Curia Romana in relazione a denunce di casi di abuso quando erano vescovi diocesani, le verifiche effettuate dalle istanze competenti, attraverso un esame dei dati oggettivi e documentali, hanno messo in evidenza che i casi sono stati trattati ad normam iuris, cioè secondo le norme vigenti, e sono stati rimessi dagli allora vescovi diocesani al Dicastero competente per l’esame e la valutazione delle accuse. Le verifiche effettuate dalle autorità competenti non hanno rilevato, in via definitiva, nessuna irregolarità nell’operato dei vescovi diocesani».

È vero che con questa ipocrisia, con questo dire e non dire, con questa forma velenosa di non tranquillizzare i fedeli che il Papa non è un mascalzone, ma di alzare cortine di fumo con l’inutile latino di «ad normam iuris», Parolin e i suoi predecessori hanno fatto durare l’impresa duemila anni.

Ma è anche vero che forse i tempi sono cambiati e questa forma di pugnalarsi tra fratelli potrebbe risultare dannosa per la Chiesa in questo momento. E questo forse spiega perché Robert Prevost è oggi un uomo angosciato non solo per tutto ciò che abbiamo raccontato, ma anche per il timore di non avere un controllo fermo sul governo della Chiesa.

 

Questo articolo è stato originariamente pubblicato in italiano, lo può vedere qui

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