Da Francesco a Leone XIV: Fernández e la continuità dell'agenda dottrinale

Da Francesco a Leone XIV: Fernández e la continuità dell'agenda dottrinale

All’inizio del 2025, quando il Papa Francisco era ancora ricoverato in ospedale e il suo pontificato entrava nella sua fase finale, l’allora prefetto del Dicasterio per la Dottrina della Fede, cardinale Víctor Manuel Fernández, annunciò la prossima pubblicazione di due testi: uno sulla monogamia e un altro sui titoli mariani della Vergine, in particolare Corredentora e Mediadora. Nove mesi dopo, entrambi i documenti vedono la luce sotto il pontificato di Leone XIV, confermando —secondo Specola— la continuità teologica e strutturale della cosiddetta “era Francisco”.

Per molti osservatori, questo gesto rappresenta una prova decisiva della direzione dottrinale del nuovo Papa: manterrà senza revisione i testi più controversi del pontificato precedente, o prenderà le distanze dallo stile autoritario e ambiguo della Dottrina della Fede sotto “Tucho” Fernández?

Un pontificato ereditato

Specola descrive il momento con ironia:

“Se il desiderio del Papa Leone è tranquillizzare le cose, sembra che stiamo percorrendo la peggiore delle strade”.

Entrambi i documenti —quello sulla monogamia e quello dedicato ai titoli mariani— erano stati redatti e promossi da Fernández prima della morte di Francisco, ma non erano stati pubblicati.
La decisione di Leone XIV di non archiviarli, ma di ratificarli e diffonderli ufficialmente, mostra che il nuovo pontefice ha optato per dare continuità alla linea dottrinale che pretendeva di chiudere i dibattiti più che illuminarli.

Il problema, nota Specola, non è solo il contenuto, ma il metodo:

“Tutti questi testi —da Fiducia Supplicans a Traditionis Custodes— sono documenti divisivi: soffocano la discussione con l’esercizio di un potere autoritario e allontanano i fedeli dalla fede”.

La Nota mariana e la sua ambiguità teologica

La Nota Doctrinal Mater Populi Fidelis, dedicata ai titoli della Vergine Maria, è stata il detonatore più visibile di questa controversia.
Il documento sconsiglia l’uso del titolo “Corredentora” e modera quello di “Mediadora”, alegando un rischio di “malintesi teologici”.
Per i suoi critici, il testo è una negazione velata del ruolo singolare di Maria nell’opera di redenzione e una manifestazione di diffidenza verso la tradizione mariologica classica.

Lo storico Roberto de Mattei lo ha espresso con durezza:

“Dietro un tono mellifluo, il documento nasconde un contenuto velenoso: pretende di spogliare la Vergine della sua grandezza soprannaturale, riducendola a una donna qualunque”.

De Mattei vede in questa Nota “la culminazione della deriva mariologica postconciliare”, che in nome della moderazione ha optato per un minimalismo dottrinale che sfigura la Madre di Dio.

Leggi anche: “Chi come la Vergine?”: Roberto de Mattei denuncia la deriva mariologica del Vaticano

Il dibattito tra correzione e timidezza

Il teologo Mario Proietti, al contrario, difende una lettura positiva:

“La Nota nega con le parole ciò che afferma con la dottrina”.

Secondo lui, il testo riconosce implicitamente la cooperazione di Maria nella redenzione e la sua intercessione materna, sebbene eviti i titoli tradizionali.

“Il documento insegna che Maria ha cooperato in modo singolare nell’opera redentrice del suo Figlio e continua a esercitare una funzione di mediazione materna: questa è la definizione classica di Corredentora e Mediadora. Solo che il testo difende la verità, ma teme il suo stesso nome”.

Proietti conclude che la Nota “non incorre in errore dogmatico”, ma pecca di timidezza pastorale, evitando di proclamare ciò che di fatto sostiene.

Una Chiesa che teme di nominare ciò che insegna

Specola sottolinea che il problema di fondo non è linguistico, ma spirituale: una Chiesa che teme di pronunciare le parole della sua propria tradizione finisce per difendere la verità in silenzio. La Nota Mater Populi Fidelis non nega formalmente la corredenzione né la mediazione mariana, ma rinuncia ad affermarle con la chiarezza che esige il Magistero.

Il risultato è una teologia senza voce: ortodossa nella lettera, insicura nel tono, incapace di ispirare devozione o certezza.

Così, Leone XIV eredita non solo i documenti di Francisco, ma la sua crisi teologica più profonda: una Chiesa che, in nome della «prudenza», teme di insegnare e difendere ciò che ha sempre creduto.

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