Questa mattina in Piazza San Pietro, il Papa Leone XIV ha proseguito il ciclo di catechesi dell'Anno Giubilare 2025, incentrato sul tema “Gesucristo, la nostra speranza”. In questa occasione, ha dedicato la sua meditazione a “La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale”, sottolineando che la spiritualità pasquale è fonte di speranza e di fraternità autentica.
Davanti a migliaia di fedeli e pellegrini provenienti da tutto il mondo, il Santo Padre ha ricordato che la fede in Cristo risorto “ci libera dall'egoismo e ci restituisce alla nostra vocazione originaria di amare e donarci”, sottolineando che la fraternità non è un'illusione, ma una realtà che trova la sua forza nell'amore del Signore.
L'udienza si è conclusa con la recita del Padre Nostro e la Benedizione Apostolica.
Pubblichiamo di seguito le parole del Santo Padre:
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!
Credere nella morte e risurrezione di Cristo e vivere la spiritualità pasquale infonde speranza nella vita e anima a investire nel bene. In particolare, ci aiuta ad amare e a nutrire la fraternità, che è senza dubbio una delle grandi sfide per l'umanità contemporanea, come ha visto chiaramente il Papa Francesco.
La fraternità nasce da un dato profondamente umano. Siamo capaci di relazionarci e, se vogliamo, sappiamo costruire legami autentici tra noi. Senza relazioni, che ci sostengono e ci arricchiscono fin dall'inizio della nostra vita, non potremmo sopravvivere, crescere, imparare. Queste sono multiple, diverse per modalità e profondità. Ma è certo che la nostra umanità si realizza meglio quando stiamo e viviamo insieme, quando siamo capaci di sperimentare legami autentici, non formali, con le persone che abbiamo accanto. Se ci chiudiamo in noi stessi, corriamo il rischio di ammalarci di solitudine e persino di un narcisismo che si preoccupa degli altri solo per interesse. L'altro si riduce, allora, a qualcuno da cui prendere, senza che siamo mai disposti veramente a dare, a donarci.
Sappiamo bene che neanche oggi la fraternità è qualcosa di immediato né che si possa dare per scontato. Anzi, molti conflitti, tante guerre sparse per il mondo, tensioni sociali e sentimenti di odio sembrerebbero dimostrare il contrario. Tuttavia, la fraternità non è un bel sogno impossibile, non è un desiderio di pochi illusi. Ma per superare le ombre che la minacciano bisogna andare alle fonti e, soprattutto, ottenere luce e forza da Colui che solo ci libera dal veleno dell'inimicizia.
La parola “fratello” deriva da una radice molto antica, che significa curare, preoccuparsi, sostenere e nutrire. Applicata a ogni persona umana diventa un appello, un invito. Spesso pensiamo che il ruolo di fratello, di sorella, si riferisca alla parentela, al fatto di essere consanguinei, di appartenere alla stessa famiglia. In realtà, sappiamo bene che i disaccordi, le fratture e a volte l'odio possono devastare anche i rapporti tra parenti, non solo tra estranei.
Ciò dimostra la necessità, oggi più urgente che mai, di tornare a considerare il saluto con cui San Francesco d'Assisi si rivolgeva a tutti e a tutte, indipendentemente dalla loro provenienza geografica e culturale, religiosa o dottrinale: omnes fratres era il modo inclusivo con cui San Francesco poneva sullo stesso piano tutti gli esseri umani, proprio perché riconosceva in loro il destino comune di dignità, di dialogo, di accoglienza e di salvezza. Il Papa Francesco ha ripreso questo approccio del Poverello d'Assisi, dando valore alla sua attualità dopo 800 anni, nell'Enciclica Fratelli tutti.
Quel “tutti” (tutti) che per San Francesco significava il segnale accogliente di una fraternità universale esprime un tratto essenziale del cristianesimo, che fin dall'inizio è stato l'annuncio della Buona Novella destinata alla salvezza di tutti, mai in forma esclusiva o privata. Questa fraternità si basa sul comandamento di Gesù, che è di nuovo, in quanto realizzato da Lui stesso, compimento sovrabbondante della volontà del Padre: grazie a Lui, che ci ha amati e si è donato per noi, noi possiamo, a nostra volta, amarci e dare la vita per gli altri, come figli dell'unico Padre e veri fratelli in Gesucristo.
Gesù ci ha amati fino alla fine, dice il Vangelo di Giovanni (cfr 13,1). Quando si avvicina la passione, il Maestro sa bene che il suo tempo storico sta per concludersi. Teme ciò che sta per accadere, sperimenta il supplizio più terribile e l'abbandono. La sua Risurrezione, al terzo giorno, è l'inizio di una storia nuova. E i discepoli diventano pienamente fratelli, dopo tanto tempo di vita in comune, non solo quando vivono il dolore della morte di Gesù, ma soprattutto quando lo riconoscono come il Risorto, ricevono il dono dello Spirito e diventano testimoni.
I fratelli e le sorelle che si sostengono a vicenda nelle prove non voltano le spalle a chi è nel bisogno: piangono e si rallegrano insieme nella prospettiva laboriosa dell'unità, della fiducia, della donazione reciproca. La dinamica è quella che lo stesso Gesù ci consegna: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (cfr Gv 15,12). La fraternità che ci ha donato Cristo morto e risorto ci libera dalle logiche negative degli egoismi, delle divisioni, delle prepotenze, e ci restituisce alla nostra vocazione originaria, nel nome di un amore e di una speranza che si rinnovano ogni giorno. Il Risorto ci ha indicato la via da percorrere insieme a Lui, per sentirci e essere “fratelli tutti”.
