Causa profondo sconcerto e dolore che, in nome di una presunta prudenza pastorale, si minimizzi pubblicamente la grandezza della Madre nell’opera della Salvezza. Come può l’autore della Nota dottrinale guardare negli occhi il Figlio quando si evita di proclamare il ruolo singularissimo di Colei che Egli stesso ci ha dato come Madre ai piedi della Croce? Difendere la verità su Maria non è una questione secondaria: è onorare la volontà del Redentore e custodire la bellezza del disegno divino. Ogni tentativo di ridurre la sua missione risuona inevitabilmente come una ferita fatta al Cuore di Cristo, che la volle inseparabilmente unita a Lui per la nostra salvezza.
Non c’è qui una tentazione spirituale molto concreta: l’accidia? Quella incapacità di rallegrarsi per i beni divini, descritta dalla tradizione come tristezza di fronte a ciò che è santo. Quando la grandezza di Maria diventa molesta, appare allora una sottile malizia verso i beni del cielo, un rifiuto velato di ciò che Dio ha voluto onorare. Ci sono coloro che, senza negarla apertamente, sembrano incomodarsi di fronte alla gloria che Dio ha concesso alla sua Maria, come se la sua luce eclissasse Cristo, quando in verità la riflette e la magnifica. Quella tristezza di fronte all’opera di Dio in Maria non proviene dallo Spirito, ma dalla resistenza umana —o peggio ancora, dal nemico— di fronte allo splendore del piano divino.
Nel corso della storia della Chiesa —come riconosce esplicitamente la Nota dottrinale— la figura di Maria è sempre stata compresa in profonda relazione con il mistero di Gesù Cristo. La pietà, la teologia, la Tradizione e il Magistero l’hanno venerata non solo come Madre del Signore, ma anche come l’associata intima e subordinata alla sua opera redentrice. Da questa tradizione viva nascono titoli come Mediatrice di tutte le grazie e Corredentrice, utilizzati da papi, santi e dottori per esprimere la partecipazione singolare di Maria nell’economia della salvezza.
In tempi recenti, in nome di ciò che alcuni denominano “sensibilità ecumenica” e “timore di possibili malintesi”, certi settori progressisti —oggi installati nei più alti livelli gerarchici della Chiesa— hanno preferito limitare o omettere l’uso pubblico di questi titoli. Non negano la dottrina che li fonda (come riconosce la stessa Nota della CDF), ma si considera che la loro formulazione potrebbe “offuscare” l’unica mediazione di Cristo.
Il nostro scopo qui è mostrare che il problema non risiede nella verità teologica —abbondantemente fondata nel documento— ma nella sua interpretazione e espressione pastorale, utilizzata come cavallo di Troia per ridurre gradualmente la chiarezza dottrinale. È necessario avvertire il rischio che queste “opzioni linguistiche” finiscano per indebolire il contenuto stesso della fede.
Il problema è teologico o ermeneutico?
Le riserve della Nota verso il titolo Corredentrice non mettono in discussione il suo contenuto, ma il modo in cui può essere inteso oggi.
Sorge la prima confusione: il prefisso co- significa con, non uguale a.
Cooperazione subordinata, mai parallela né competitiva; non indica uguaglianza con Cristo, ma cooperazione: «Con Cristo e sempre subordinata a Cristo».
Cristo è l’unico Redentore, causa prima e fonte assoluta di ogni grazia. Maria è strumento associato e pienamente dipendente da Lui.
Questa insegnamento non è accessorio né meramente devozionale: è dottrina sicura, radicata nella Tradizione e sostenuta da molteplici pontefici.
Se prestiamo attenzione, l’argomento che si brandisce è un altro, il “rischio di confusione”: che alcuni fedeli interpretino Maria come una “seconda redentrice” in parallelo a Cristo. Anche concedendo che possa verificarsi tale malinteso -cosa che non credo possibile-, ciò che è decisivo è sottolineare che il dibattito non è dogmatico, ma: ermeneutico (interpretazione), linguistico (chiarezza terminologica) e pastorale (ricezione culturale ed ecumenica)
Qui si apre la questione decisiva: Può la “prudenza pastorale” diventare una norma che attenua ciò che la Chiesa ha insegnato per secoli?
Quando la pastorale diventa criterio normativo
Se si smette di impiegare un titolo vero “per evitare confusioni”, l’effetto reale è: l’indebolimento della catechesi, insieme a un impoverimento della fede del popolo e l’offuscamento del posto unico di Maria nella Redenzione.
Come insegna la Tradizione: lex orandi, lex credendi. Ciò che si smette di proclamare, si smette di credere.
Il problema non è la verità del titolo, ma il rischio che la pastorale finisca per normare la teologia per omissione, come se la verità dipendesse dalle sensibilità mutevoli dell’epoca. Già conosciamo questa dinamica: prima si afferma che la dottrina rimane intatta, ma poi l’applicazione pastorale altera la percezione reale di quella dottrina nel popolo cristiano.
Il caso recente di Fiducia supplicans è paradigmatico: si è assicurato che il Magistero sul matrimonio e sulla sessualità non cambiava, e tuttavia, sotto l’argomento di una “pastorale di benevolenza”, si è introdotta la benedizione di unioni omosessuali, provocando nella coscienza comune l’impressione di un cambiamento dottrinale che ufficialmente si nega.
Così funziona questa deriva: ciò che si tollera pastoralmente finisce per essere interpretato come normativo nella fede, anche se la teologia afferma il contrario. Allo stesso modo, se si smette di proclamare Maria come Corredentrice —anche se si dice che la dottrina rimane— il risultato pratico sarà che il popolo di Dio smetterà di credere in ciò che non si esprime più.
Una pastorale di questo tipo, che tace la verità, smette di essere pastorale: diventa tradimento.
Manipolazione dei termini
Il documento non sbaglia nella sua intenzione teologica, ma sì nella sua premessa linguistica e nella sua logica argomentativa.
La premessa corretta sarebbe: “Se esiste rischio di malintendere il prefisso co-, spieghiamone chiaramente la sua subordinazione a Cristo.”
Ma il ragionamento che suggerisce la Nota è: “Poiché potrebbe essere malinteso, non usiamo il termine.”
Così, si converte la possibilità di confusione in argomento sufficiente per scartare un’espressione legittima usata per secoli dalla Chiesa.
Questo criterio è insostenibile: se si applicasse coerentemente, dovrebbe eliminarsi la maggior parte del linguaggio teologico (Transustanziazione, Persona, Natura, Sacrificio, ecc.), poiché tutti richiedono spiegazione. La fede si insegna: non si riduce a ciò che non ha bisogno di chiarificazione.
L’effetto dottrinale del silenziare un titolo vero
L’abuso del linguaggio pastorale finisce per produrre uno spostamento del sensus fidei: ciò che si smette di nominare, smette di esistere nella coscienza del popolo cristiano. Anche senza condannarlo formalmente, basta evitarlo per generazioni per erodere la sua verità nel piano ecclesiale: la pastorale si converte in una norma negativa: “Questo non si dice”, anche se rimane vero. Il tempo si incaricherà di farlo scomparire.
López Quintás descrive questo meccanismo di manipolazione simbolica in quattro passi:
- Si etichetta un nome tradizionale come “confuso”;
- Si evita il suo uso pubblico;
- Il popolo conclude che è errato;
- La verità resta emarginata senza toccarla.
Ciò che non si nomina più, smette di esistere per la coscienza.
In difesa della legittimità del termine Corredentrice
L’affermazione che il titolo Corredentrice sarebbe “inopportuno” per richiedere spiegazioni costanti non può essere accettata come criterio sufficiente. Ogni verità profonda della fede esige di essere spiegata: la Trinità, l’Incarnazione, la Transustanziazione, l’unicità di Cristo come Mediatore… Ognuna di queste espressioni potrebbe “generare confusione” senza la dovuta catechesi. La soluzione cattolica non ha mai consistito nel sopprimere termini profondi, ma nel purificarli e spiegarli fedelmente.
Lontano dall’offuscare l’unica Redenzione, il titolo Corredentrice la illumina con maggiore forza: l’opera di Cristo è così perfetta che incorpora, senza necessità ma con amore, la cooperazione libera di una creatura.
Tutto in Maria è di Cristo e conduce a Cristo. La sua parola a Cana —“Fate quello che Egli vi dirà” (Gv 2,5)— è la luce ermeneutica della sua missione.
Pertanto, l’impiego del titolo è teologicamente fecondo ed esprime con precisione una verità insegnata dalla Chiesa; una verità che non può essere offuscata né relegata in nome della pastorale, ma che, al contrario, deve nutrire e sostenere ogni azione evangelizzatrice, poiché là dove Maria è accolta e annunciata, Cristo è più pienamente riconosciuto e amato.
Conclusione
La Chiesa, o meglio, il Card. Fernández, può sfumare il suo linguaggio senza modificare la dottrina; ma la storia mostra che, quando la pastorale condiziona il modo di esprimere la fede, finisce per modellare anche la sua comprensione. Se, per prudenza mal intesa, si tace ciò che è vero, la verità perde la sua forza illuminatrice.
Custodire il titolo mariano di Corredentrice —insegnato correttamente e in piena subordinazione a Cristo— non è un’esagerazione né una concessione devozionale, ma un atto di fedeltà al mistero così come è stato contemplato e proclamato dalla Chiesa. Difendere questo nome è difendere l’integrità del piano salvifico: là dove risplende la missione di Maria, si rivela con maggiore chiarezza la gloria dell’unico Salvatore.
¡Madre Corredentrice e Mediatrice di tutte le grazie!
¡PREGHI PER NOI!
Tu hai cooperato al mistero della nostra salvezza,
oh Madre del Salvatore,
e sei stata per noi ponte verso Dio.
Nota: Gli articoli pubblicati come Tribuna esprimono esclusivamente l’opinione dei loro autori e non rappresentano necessariamente la linea editoriale di Infovaticana, che offre questo spazio come foro di riflessione e dialogo.
