TRIBUNA: Lettera aperta a Leone XIV in occasione della celebrazione del 60° anniversario della dichiarazione conciliar Nostra aetate

Di: Francisco José Vegara Cerezo - sacerdote di Orihuela-Alicante

TRIBUNA: Lettera aperta a Leone XIV in occasione della celebrazione del 60° anniversario della dichiarazione conciliar Nostra aetate

Santità,

Poiché la lettura del suo messaggio nell’udienza generale celebrata in occasione del sessantesimo anniversario della dichiarazione conciliare Nostra aetate mi ha prodotto sinceramente profonda inquietudine, passo a esporre, seguendo le sue stesse parole, che metto in corsivo, gli interrogativi e le riflessioni che mi sono andati suscitando.

 

Al centro della nostra riflessione di oggi, in quest’Udienza Generale dedicata al dialogo interreligioso, desidero porre le parole del Signore Gesù alla samaritana: «Dio è spirito, e chi lo adora deve adorarlo in spirito e verità» (Gv 4,24).

Si può adorare realmente Dio in religioni che non sono state fondate da Colui che è la sua Verità, né sono guidate dal suo Spirito?

 

Questo incontro rivela l’essenza del dialogo religioso autentico: uno scambio che si stabilisce quando le persone si aprono le une alle altre con sincerità, ascolto attento e arricchimento reciproco. È un dialogo nato dalla sete: la sete di Dio nel cuore umano e la sete umana di Dio.

Forse ogni religione è capace di colmare la sete di Dio, che alberga nel cuore umano?

 

Al pozzo di Sicar, Gesù supera le barriere di cultura, genere e religione, invitando la samaritana a una nuova comprensione del culto, che non si limita a un luogo particolare, ma si realizza in spirito e verità.

Forse Gesù è venuto, invece di fondare l’unica chiesa capace di, amministrando la grazia redentrice, rendere culto in spirito e verità, a dichiarare che tutte le religioni senza barriera di alcun tipo sono valide per ciò?; certamente Gesù superò le barriere di cultura e sesso, presentando una proposta che aboliva i limiti tra i popoli e le preminenze tra i sessi; ma come si può dire che superò altresì le barriere religiose, se egli non venne a stabilire qualcosa che superasse l’ambito religioso, ma la vera religione che lo compisse pienamente?; tanto è vero che il suo messaggio è strettamente religioso, che il primo passo ineludibile, per accoglierlo, non è altro che la conversione, che suppone la trasformazione religiosa dell’uomo, stabilendo, da una parte, la priorità di ciò che è religioso su tutto il resto, e, dall’altra, la rottura con qualsiasi altro legame religioso, il che rende incompatibile l’opzione per Cristo con qualsiasi altra adesione religiosa, che verrebbe a essere un’idolatria e un’apostasia.

 

Questo momento raccoglie lo stesso senso del dialogo interreligioso: scoprire la presenza di Dio al di là di ogni frontiera e l’invito a cercarlo con reverenza e umiltà.

Forse, al di là di ogni frontiera, qualsiasi religione può offrire realmente la presenza di Dio?, e si può cercare Dio, facendo astrazione da una religione concreta?, il che viene a significare la relativizzazione di tutte le religioni, inclusa quella di cui lo stesso papa si presenta come capo, e le cui abissali divergenze le convertirebbe tutte in impedimenti per un’esaltata unità che non passerebbe di indefinito sincretismo.

 

Questo luminoso documento (Nostra aetate) ci insegna a trovare i seguaci di altre religioni non come estranei, ma come compagni di cammino nella verità; a onorare le differenze affermando la nostra comune umanità; e a discernere, in ogni ricerca religiosa sincera, un riflesso dell’unico Mistero divino che abbraccia tutta la creazione.

Forse in tutte le religioni si può trovare un cammino verso la verità salvifica?; forse il fatto comune della natura umana, che ovviamente abbraccia tutti gli uomini, sta al di sopra delle differenze religiose, che, nel caso della religione cristiana, hanno un evidente carattere soprannaturale?; allora lo soprannaturale è accessorio e persino negativo di fronte all’uguaglianza di natura?, e non suppone ciò relativizzare e persino banalizzare l’essenza soprannaturale del cristianesimo?; inoltre forse tutte le religioni permettono ugualmente una ricerca sincera della verità religiosa, riflettendo l’unico mistero divino?, e come si dice che questo mistero abbraccia tutta la creazione, come se fosse contenuto in essa?; non si dovrà piuttosto dire che il mistero divino supera infinitamente, che ciò è trascendere, tutta la creazione, affinché si possa mantenere diafanamente l’eccellenza di Dio su tutte le sue opere?, e risulta che quel mistero divino trascendente potrà essere riflesso ed espresso adeguatamente da tutte le religioni, quando solo una: la cattolica, possiede l’insieme di tutta la rivelazione soprannaturale: Scritture e Tradizione ecclesiale?, o risulta che ora la rivelazione soprannaturale è secondaria di fronte all’unità della natura umana?, che certamente potrà essere portatrice della rivelazione naturale, ma senza che si debba ignorare che tale natura rimase profondamente danneggiata dal peccato originale, il che, come fino ad ora insegnava il magistero, rende impossibile all’uomo, privo dell’aiuto della grazia, discernere senza errore, e raggiungere il cammino verso la salvezza; inoltre come quella grazia può agire dalle diverse religioni, se solo la chiesa cattolica può essere il suo autentico canale?, così come si afferma nella tesi che fuori della chiesa cattolica, denominata così «sacramento universale di salvezza», in quanto unita a Cristo come sua testa e sacramento fontale, non c’è salvezza, già che, se la chiesa non pregasse e intercedesse per tutti gli uomini, nessuno si salverebbe.

Si potrebbe persino approfondire ancora di più, poiché come è possibile cercare di coprire con la tela sdrucita della natura umana danneggiata le radicali e incompatibili differenze tra tantissime religioni, il cui minimo comune denominatore rimane ridotto al carattere misterioso che tutte si attribuiscono, ma che arrivano a intendere in modo così antitetico e inconmensurabile tra loro? Parlare allora di legami comuni in mezzo all’assoluta disparità tra le religioni esistenti viene a essere una menzogna così sarcastica come la volgare comparazione tra un uovo e una castagna, quando questi esseri biologici condividono, almeno, una forma più o meno sferica.

Certamente, poiché nessuno sceglie dove nascere, si può essere inculpabilmente ignoranti della verità salvifica della chiesa cattolica; ma, in primo luogo, il giudizio di tale situazione corrisponde a Dio, il quale, volendo, come dice l’apostolo, che tutti gli uomini si salvino, si incaricherà che il sole salvifico di Cristo non lasci senza illuminare in qualche modo nessun uomo che sia venuto in questo mondo; in secondo luogo, c’è anche la norma morale che obbliga ogni coscienza a formarsi oggettivamente secondo i mezzi di cui dispone, e, in terzo luogo, abbiamo la grave obbligo che pesa su tutti i seguaci di Gesù, di essere luce in mezzo al mondo, per estendere l’annuncio del vangelo, già che la conseguenza immediata della considerazione buonista di tutte le religioni è l’inutilità totale di qualcosa di così intrinseco all’essenza della chiesa, come è la missione evangelizzatrice; infatti, se, come venne ad affermare Francesco in Indonesia, tutte le religioni non sono altro che i diversi idiomi per comunicarci con Dio, e i vari cammini che a questo ci conducono, che senso ha disturbarsi a disturbare gli altri con le dannate pretese evangeliche, se già si dice che il corpo è un animale di abitudini, e così sarebbe meglio lasciare ciascuno, a tutto ci si abitua, tranquillo e a suo agio, vivendo, come pesce nell’acqua, nella religione che ha succhiato?

Non dimentichiamo che il primo impulso di Nostra aetate fu verso il mondo ebraico, con il quale san Giovanni XXIII volle ristabilire il legame originario. Per la prima volta nella storia della Chiesa si elaborò un testo che riconosceva le radici ebraiche del cristianesimo e ripudiava ogni forma di antisemitismo.

Anche ripudiando sinceramente ogni forma di antisemitismo, si può ignorare la falsità dell’identificazione dell’ebraismo attuale, di radici talmudiche, sommamente offensive verso il cristianesimo, con l’ebraismo veterotestamentario?, a ciò si aggiunge che, come afferma rotundamente l’apostolo, il vero Israele è formato da quanti credono in Gesù, riconoscendolo come messia e unico redentore.

 

Lo spirito di Nostra aetate continua a illuminare il cammino della Chiesa. Riconosce che tutte le religioni possono riflettere «un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini» e che cercano risposta ai grandi misteri dell’esistenza umana.

Come già insegnarono i padri della chiesa, i semi del Verbo possono trovarsi dovunque; ma ciò può significare, di fatto, la normalizzazione di tutte le religioni?, il che supporrebbe negare il principio basilare che la chiesa cattolica è l’unica non solo che possiede la pienezza salvifica, ma anche che è stata realmente voluta da Dio, come destinataria della sua rivelazione e come canale esclusivo di tutta la grazia guadagnata da Cristo, in modo che tutto ciò che di vero possiedano parzialmente le altre religioni, è ciò che condividono e persino hanno preso dalla chiesa cattolica.

 

Il dialogo deve essere non solo intellettuale, ma profondamente spirituale. La dichiarazione invita tutti —vescovi, clero, consacrati e laici— a impegnarsi sinceramente nel dialogo e nella collaborazione, riconoscendo e promuovendo tutto ciò che è buono, vero e santo nelle tradizioni degli altri.

Si può stabilire un dialogo realmente sincero e produttivo che, allo stesso tempo che riconosce il vero e il buono, non segnali anche l’erroneo e l’infelice?

È evidente che, secondo il principio di non contraddizione, gli opposti non possono essere, allo stesso tempo, veri, e allora si potrà passare sotto silenzio il fondamento stesso di tutta la logica e così di tutta la razionalità, per riuscire a imporre la verità e la bontà, amalgamate, dell’enorme diversità religiosa?; come non accorgersi che, eliminando la razionalità, si dinamita precisamente l’unico ponte che potrebbe facilitare il dialogo interreligioso?, il quale necessariamente, per essere serio, deve addentrarsi nelle acque procellose del dibattito, o ora sarà che, innalzando la bandiera della verità, si arriva al colmo di disprezzare tutto ciò che sa di apologetica?, e che verità rimane, in realtà, quando si è eliminato il senso che le dà l’unità, sconnessa tra la caotica e amorfa varietà?, già che effettivamente, quando tutto si considera verità, nulla finisce per essere verità, ma tutto finisce sbriciolato dal vorace relativismo, la cui prima vittima è la stessa verità. Il peggio per il caso è che senza verità non c’è né Dio vero né religione vera, e il tanto decantato dialogo interreligioso viene a derivare in un dialogo di besugos, che racchiude in una gabbia di grilli.

 

In un mondo segnato dalla mobilità e dalla diversità, Nostra aetate ci ricorda che il dialogo vero affonda le sue radici nell’amore, fondamento della pace, della giustizia e della riconciliazione.

Come, fuori della verità, non c’è amore vero, e questo non è altro che il soprannaturale che definisce Dio stesso, così come è stato rivelato da Cristo, cabe un autentico amore fuori della fede in quella rivelazione?, o equipareremo l’amore cristiano, che sgorga da Dio stesso, con ciò che ciascuno possa intendere per amore, che è la parola più polisemica?

 

Dobbiamo essere vigilanti di fronte all’abuso del nome di Dio, della religione e dello stesso dialogo, e davanti ai pericoli del fondamentalismo e dell’estremismo.

Se nel parossismo del relativismo non c’è più nulla di vero, che è tutto uso del nome di Dio se non un abuso linguistico, privo di ogni riferimento non solo reale ma meramente portatore di senso?, e in che diventa ogni religione se non in un mero gioco di parole, la cui pretesa di realtà, al di là dell’immaginario culturale collettivo, anch’essa sarebbe un completo abuso?; che morale, così necessaria per la convivenza interpersonale e sociale, si potrebbe allora erigere su arene così mobili?; in somma, dissolta ogni possibile razionalità, che freno rimane già all’estremismo fondamentalista e fanatico, se l’unica che può illuminare la volontà, affinché, a sua volta, freni la cieca impetuosità dei sentimenti, è la ragione?

 

Le nostre religioni insegnano che la pace inizia nel cuore dell’uomo. Per questo la religione può svolgere un ruolo fondamentale: dobbiamo restituire la speranza alle nostre vite, famiglie, comunità e nazioni. Quella speranza si appoggia sulle nostre convinzioni religiose e sulla certezza che un mondo nuovo è possibile.

A che servono insegnamenti che sono radicalmente relativi?, e che senso ha appellarsi agli stessi in nome della pace e del cuore dell’uomo, se queste stesse nozioni divergono profondamente in ogni religione?

Come si parla di speranza comune tra le religioni, se ogni speranza si fonda sulla fede, e questa è proprio quella che distingue ogni religione, in modo che tanta divergenza ci sarà tra le diverse speranze, quanta sia quella della fede da cui dimana ciascuna?

Più grave, tuttavia, è che quell’equiparazione di speranze diluisce non solo la soprannaturalità di quella cristiana, ma anche la trascendenza del suo obiettivo, come si vede nel fatto della riduzione alla pura immanenza di questo mondo, come se la religione fosse un mero strumento al servizio di questa vita terrena, allo stile della medicina o della politica.

Concepire la religione come un ideario politico che potrebbe arrivare a convivere con altri entro il quadro di un certo consenso fondamentale, è dimenticare precisamente il carattere di sustrato radicale che possiede ogni religione, e che la converte in un’autentica cosmovisione, incompatibile, per definizione, con qualsiasi altra, tutte le volte che la prima pretesa di qualsiasi religione è quella del monopolio non già della forza né di un territorio ma di qualcosa di così elementare come la verità e la bontà; ora bene, una cosa è abogare per un dialogo civilizzato tra le religioni, che sempre sarà meglio dell’imposizione con la forza bruta, e un’altra, ridurlo tutto al dialogo in sé stesso, che così rimane svuotato di ogni contenuto, e solo riesce a disattivare tutte le religioni, spogliate della loro dottrina, che è la loro ragione di essere; tuttavia, il dialogo non può essere un fine in sé stesso, ma deve essere uno strumento per la verità, uguale a come il cammino non ha più senso che condurre alla meta, la quale scompare, relativizzata, quando il precedente è assolutizzato, come avviene nella nuova chiesa sinodale, che lo converte in un mero percorso circolare in cui fino rimane eclissato il machiavellismo, poiché non è già che il fine giustifichi i mezzi, ma che questi arrivano a sostituire quello.

Infine, non posso che lamentare, desolato, che la chiesa si trovi ora stesso nella tempesta perfetta: attaccata non solo dai nemici esterni, ma anche massacrata da quelli interni, e da un doppio fuoco incrociato: quello di coloro che la spingono, per prostituirla davanti al mondo, e quello di coloro che l’accusano di essersi già irreparabilmente prostituita con il mondo; così, in somma, tutti vengono in tromba, e generando un’indescrivibile confusione, a distruggere e negare l’essenza stessa della chiesa come corpo sociale visibile che percorre tutta la storia in evoluzione organica, senza tagliare le radici che la uniscono a Colui che è la sua testa, e senza ostruire la linfa che riceve da Colui che è la sua anima; per questo di fronte a tutti coloro è perentorio salvaguardare l’identità dell’unica chiesa cattolica riconoscibile storicamente, e l’unico modo risiede nella cosiddetta da Benedetto XVI «ermeneutica della continuità», impossibilitata, tuttavia, tanto da coloro che respingono il concilio Vaticano II, come da coloro che, dando ragione ai precedenti, lo utilizzano come alibi per la consumazione della rottura dottrinale effettiva.

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