A Roma c’è chi ancora si immagina che, dopo la riforma dell’Opus Dei, arriverà il momento di «ordinare» le sue opere e templi. Che quando tutto sarà chiarito nei nuovi Statuti, qualcuno in Curia metterà il sigillo in un decreto e Torreciudad, quel immenso santuario di mattoni sul bacino di El Grado, passerà automaticamente a dipendere dalla Santa Sede. È un pensiero tenero. Tanto tenero quanto la favola della lattaia.
Perché basta leggere la nota semplice del Registro della Proprietà di Benabarre, a cui ha avuto accesso InfoVaticana, relativa al complesso di Torreciudad, per scoprire la realtà: il complesso non appartiene all’Opus Dei, né alla prelatura, né al prelato.
Va chiarito che Torreciudad è segregato in due finche registrali: Secondo le note semplici consultate, l’insieme si divide in due registri distinti: uno corrisponde al tempio propriamente detto, con uso religioso, e l’altro alle parcelle confinanti, che includono le zone di accesso, parcheggio e dipendenze ausiliarie. In termini giuridici, ciò significa che persino il santuario è scisso tra un bene di culto e un entorno patrimoniale civile, gestito mediante formule separate.

Sebbene sia vero che il tempio come tale appartiene, dal 2021, alla Fundación Santuario de Nuestra Señora de los Ángeles de Torreciudad e con un diritto di superficie a favore dell’Opus Dei, la maggior parte dell’entorno, di 19 ettari e che include l’eremitaggio e i 17.000 metri quadrati costruiti del complesso appartengono a una società anonima: Inmobiliaria Aragonesa, S.A, una delle società mercantili che esegue le acquisizioni legate a entità dell’entorno dell’Opus Dei.
Dopo la riforma della Legge sul Mecenatismo, e l’esenzione dall’IBI per entità senza scopo di lucro, la società anonima ha ceduto il bene in usufrutto alla Asociación Patronato de Torreciudad, a titolo gratuito e per 20 anni. Si è formalizzato così, secondo quanto indica una sentenza del TSJA citata dall’Heraldo, «ciò che già era una relazione materiale di usufrutto preesistente tra la proprietaria del bene (Ciasa) e il Patronato, considerando che questo usava i beni a suo vantaggio e pagava le spese di conservazione».
Il Patronato de Torreciudad , un’associazione civile, gode solo di un usufrutto temporaneo di venti anni sugli edifici e sul terreno principale, firmato nel 2014 e con scadenza nel 2035. Patronato de Torreciudad è un’associazione civile senza scopo di lucro, dichiarata di utilità pubblica mediante Ordine del Ministero dell’Interno del 19 giugno 2002 (BOE 2 ottobre 2002), che include tra i suoi fini il sostegno del santuario di Torreciudad e la promozione di pellegrinaggi. Inoltre, ha come oggetto la realizzazione di attività che perseguano fini di interesse generale, culturali, formative, assistenziali, di promozione del volontariato sociale, di difesa dell’ambiente e altri di natura analoga, nell’entorno del santuario di Torreciudad.
Il dibattito sulla proprietà delle fondamenta del santuario, quindi, non appartiene al campo della teologia, ma del diritto civile.

Quindi, quando a Roma si strofinano le mani pensando a cosa faranno con i beni della prelatura, e iniziano a guardare edifici a Londra, o progetti per Scholas Ocurrentes, forse converrebbe che qualcuno gli spiegasse che non c’è bottino. Che ciò che loro sognano di «riordinare» è perfettamente blindato in atti pubblici, iscritto a nome di società e fondazioni che non dipendono né dal Vaticano né dal prelato. Se l’Opus Dei scomparisse domani, Torreciudad continuerebbe ad appartenere esattamente a chi figura nel registro: a un’azienda privata con un usufruttuario civile.
La beffa della questione sta nell’immaginare la faccia di qualche monsignore quando scoprirà che la gemma del rosario —il simbolo fisico del «carisma»— non può nemmeno toccarla. Che l’unica cosa che Roma potrebbe ricevere è la fattura del condizionatore d’aria, o l’invito a una messa di anniversario. Il resto, nemmeno vederlo.
Tutto questo rivela un problema più profondo: la Chiesa porta decenni senza sviluppare un vero diritto mercantile canonico. Si è permesso che istituzioni cattoliche raccogliessero donazioni, lasciti e eredità sotto la forma di fondazioni o associazioni civili, fuori dal controllo ecclesiastico, sotto l’idea comoda che «tutto resta in casa». Ma quando l’equilibrio si rompe —per una crisi interna o una riforma imposta—, la Chiesa scopre che i beni «della Chiesa» non sono suoi, e che non ha né la titolarità né gli strumenti per intervenire.
Così si è costruito, in nome della prudenza e dell’ordine, un groviglio di società mercantili e patronati civili che funzionano come firewall di fronte a qualsiasi autorità canonica. Roma può legiferare su carismi, statuti o prelatura, ma non su atti pubblici né registri della proprietà. E alla fine, quando cerca di «riordinare» ciò che crede suo, si scontra con la constatazione giuridica più scomoda di tutte: che, nel mondo delle opere cattoliche, il potere spirituale appartiene a Roma, ma le chiavi del tesoro sono in mani di esecutori testamentari.
Quindi, mentre a Roma si contano le future galline d’oro della riforma, a Huesca fa già mezzo secolo che è stato firmato il contratto che le rinchiude. E la carta, come spesso accade, resiste meglio delle illusioni. Torreciudad non è una finca ecclesiastica: è un’ironia notarile.
E a questo punto, resta solo augurare loro buona fortuna nella loro caccia al tesoro. Perché Roma può legiferare tutto ciò che vuole… ma gli atti li hanno altri.
