Turchia: Erdoğan espelle più di 200 cristiani stranieri con l'accusa di «minacce alla sicurezza nazionale»

Turchia: Erdoğan espelle più di 200 cristiani stranieri con l'accusa di «minacce alla sicurezza nazionale»

Il governo di Turchia, sotto l’amministrazione di Recep Tayyip Erdoğan, ha espulso dal 2020 più di 200 cristiani stranieri, per la maggior parte missionari e lavoratori di comunità protestanti, insieme alle loro famiglie. Le autorità li qualificano come “minacce alla sicurezza nazionale”, un’accusa che non è stata accompagnata da prove né processi giudiziari formali.

I colpiti hanno ricevuto notifiche mediante codici amministrativi segreti —noti come N-82 e G-87— che non solo ordinano la loro uscita dal paese, ma vietano il loro reingresso indefinitamente. Secondo l’organizzazione Alliance Defending Freedom International (ADF), dietro a queste misure si nasconde una persecuzione religiosa silenziosa, eseguita mediante decisioni burocratiche che eludono il controllo giudiziario.

“Questi cristiani hanno servito pacificamente per anni nelle loro comunità locali”, ha denunciato ADF. “Il governo li indica come un rischio per la sicurezza semplicemente per vivere la loro fede”.

La religione sotto controllo statale

Sebbene la Costituzione turca garantisca la libertà di culto, nella pratica lo Stato controlla tutta la vita religiosa attraverso il Diyanet, la Presidenza degli Affari Religiosi, che promuove solo l’islam sunnita. Secondo il rapporto 2025 di Ayuda a la Iglesia Necesitada (ACN), il governo turco limita la formazione del clero cristiano, mantiene chiuso dal 1971 il Seminario Teologico di Halki e limita la proprietà e la gestione dei templi mediante norme discriminatorie.

Queste politiche, unite alla sorveglianza sulle comunità non musulmane, configurano un ambiente di ostilità istituzionale che lascia le chiese minoritarie in una situazione di vulnerabilità permanente.

Una persecuzione senza carceri, ma con codici

L’espulsione dei missionari riflette un tipo di persecuzione moderna che non si presenta con violenza fisica, ma mediante strumenti amministrativi e decisioni giudiziarie opache. Nel giugno 2024, la Corte Costituzionale turca ha avallato le deportazioni, sostenendo che l’attività missionaria poteva comportare “rischi per l’ordine pubblico”.

Da una prospettiva cristiana, questa politica contraddice i principi fondamentali della libertà religiosa e criminalizza la missione evangelizzatrice, riducendola a una questione di sicurezza statale.

“La fede cristiana non minaccia la nazione; minaccia il potere di coloro che non tollerano la verità”, osserva un osservatore citato da LifeSiteNews.

Solitudine e rischio di scomparsa

Diverse organizzazioni cristiane hanno chiesto all’Unione Europea e all’ONU di intervenire per garantire i diritti degli espulsi e per esigere dalla Turchia il rispetto dei trattati internazionali. Nel frattempo, le comunità cristiane locali —cattoliche, ortodosse e protestanti— affrontano la solitudine e il rischio di scomparire lentamente.

La repressione burocratica che oggi subiscono i credenti in Turchia non è un fenomeno isolato, ma parte di una tendenza globale in cui la fede diventa sospetta e la verità, sovversiva.

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