Prove verificate confermano che il documento è stato inviato dall'organizzazione delle vittime SNAP alla Segreteria di Stato ad aprile 2025.
Giorni prima del Conclave, Infovaticana ha pubblicato un rapporto che esponeva gravi carenze nella gestione di un caso di abusi sessuali su minori quando Robert Prevost era vescovo di Chiclayo. Il documento dettagliava omissioni significative nella gestione del noto “caso Lute”, un prete pedofilo che ha abusato di due bambine di 9 e 11 anni, che portava in una residenza isolata nella sierra, dove le faceva dormire nello stesso letto e abusava di loro (ci sono testimonianze che affermano che Lute portava lì altri minori). L'indagine è ancora aperta e le vittime hanno recentemente richiesto l'accesso ai documenti e alle prove del processo.
La pubblicazione ha innescato una campagna mediatica coordinata che ha sorpreso i responsabili di Infovaticana. Il giornalista Austen Ivereigh è stato il primo a rimproverare personalmente la notizia: “è una campagna del Sodalicio”, ha detto. Giorni dopo, la stessa tesi è stata ripetuta in diversi media —tra cui Religión Digital, Vida Nueva e persino El País, che ha insistito su quella linea qualche giorno fa e ora affronta una causa da parte delle vittime per aver manipolato un'intervista registrata di due ore con la giornalista Paola Nagovitch, il cui contenuto non aveva nulla a che fare con quanto pubblicato—. La biografia ufficiale del Papa, scritta dalla giornalista Elise Allen, riecheggia anche la stessa teoria. Tutti concordano sul racconto: il rapporto era un “bulo del Sodalicio”, un'operazione di disinformazione attribuita alla cosiddetta ultradestra ecclesiale.
Tuttavia, Infovaticana ha avuto accesso a prove conclusive che smontano completamente quella versione. Una di esse è un audio, registrato ad aprile 2025, in cui un'autorità ecclesiale direttamente coinvolta nel caso riconosce che è stata SNAP (Survivors Network of those Abused by Priests) —la nota organizzazione statunitense delle vittime di abusi nella Chiesa— a inviare il documento alla Segreteria di Stato del Vaticano all'inizio di quel mese. L'obiettivo, secondo quanto emerge dalla registrazione, era che il testo arrivasse ai cardinali alla vigilia di un probabile Conclave, per informare sulle irregolarità di Prevost nella gestione delle denunce di abusi sessuali a Chiclayo. Infovaticana ha verificato l'autenticità dell'audio e confrontato il suo contenuto con fonti indipendenti.
La conferma che SNAP è stata l'origine del rapporto non lascia spazio a interpretazioni: la denuncia sulla gestione di Prevost è partita da un'organizzazione internazionale di vittime con una lunga trayectoria nella difesa delle persone abusate da chierici, senza alcuna relazione con il Sodalicio de Vida Cristiana né con alcun gruppo conservatore all'interno della Chiesa. Fondata negli Stati Uniti negli anni novanta, SNAP è stata una delle principali piattaforme di denuncia di coperture e negligenze episcopali nel mondo, e la sua indipendenza rispetto a qualsiasi corrente ideologica è fuori dubbio. È difficile immaginare un'entità più estranea alla cosiddetta “ultradestra ecclesiale” con cui si è cercato di collegare questa storia.
Ale prove documentali si aggiungono altri elementi che rafforzano la conclusione che la tesi del “bulo del Sodalicio” manca di fondamento. Nessuno dei media che l'hanno diffusa ha presentato alcuna evidenza che colleghi il Sodalicio alla elaborazione o diffusione del rapporto. Tutto era mera speculazione amplificata in redazioni che, senza verificare i fatti, hanno ripetuto la stessa consigna: “tutto è un montaggio dell'ultradestra”. SNAP l'ha inviato al Vaticano. Non è stato il Sodalicio. Non c'è dubbio possibile.
Ora che si conosce il vero origine del rapporto —un'organizzazione di vittime con indipendenza e reputazione riconosciute—, sorge la domanda sul perché sia stata diffusa una simile menzogna con tanta insistenza. Perché deviare l'attenzione da un possibile caso di negligenza nella gestione degli abusi verso un'istituzione che non ha avuto alcuna partecipazione? È stata una strategia comunicativa fallita o un tentativo deliberato di screditare chi chiedeva trasparenza? In Religión Digital, per esempio, alcuni dei suoi responsabili si sono vantati pubblicamente di aver promosso quella narrativa. Oggi, con i fatti sul tavolo, convien chiedere se sosterranno che SNAP fa parte di una cospirazione o se riconosceranno che, nel giornalismo, la verifica vale sempre più della consigna.
La trasparenza non dovrebbe avere ideologia. E il diritto delle vittime a essere ascoltate, nemmeno.
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