Nel frattempo, in Narnia… la Chiesa si prepara per la COP30

Nel frattempo, in Narnia… la Chiesa si prepara per la COP30

La COP30, trentesima Conferenza delle Parti dell'ONU sul Cambiamento Climatico, si terrà dal 10 al 21 novembre 2025 a Belém do Pará, Brasile. Come ogni anno, si riuniranno governi, burocrati, lobby verdi, ONG di ogni tipo e imprese che vivono della transizione energetica per negoziare impegni climatici, esigere più fondi e discutere chi pagherà il conto dell'apocalisse ambientale che annunciano loro stessi.

In questo scenario, la Chiesa Cattolica in America Latina ha deciso di presentarsi, non come la Sposa di Cristo, ma come un'ONG in più tra Greenpeace e Oxfam. Cáritas America Latina e Caraibi ha pubblicato recentemente il suo documento di posizione in vista della COP30. Traduzione in quattro lingue, tono solenne, molta indignazione ambientale… e, naturalmente, nessuna traccia di Gesù Cristo.

Laudato Si’: la nuova costituzione della Chiesa Ecologica

Il testo si appoggia sull'enciclica Laudato Si’, presentata di fatto come il nuovo documento costituzionale della Chiesa Ecologica. Lì c'è tutta la terminologia: conversione ecologica, giustizia climatica, cura della Casa Comune. Ma l'essenziale della fede cattolica —Cristo, la redenzione, la vita eterna— brilla per la sua assenza.

Il rischio è evidente: che Laudato Si’, invece di essere un'esortazione pastorale, si trasformi nel catechismo ufficiale di una nuova religione ecologica senza trascendenza, dove l'importante non è la salvezza delle anime, ma la riduzione delle emissioni di CO₂.

Un documento senza Cristo

Nelle sue pagine abbondano concetti propri delle Nazioni Unite: finanziamento climatico, perdite e danni, colonialismo verde. Niente male per un seminario a Bruxelles o New York, ma è davvero questo ciò che la Chiesa deve apportare al mondo?

L'assenza di Cristo non è una svista: è un sintomo. La Chiesa rischia di trasformarsi in un'ONG verde in più, diluendo la sua identità in un discorso secolarizzato che chiunque potrebbe firmare.

Los obispos europeos: un contrasto incómodo

Curiosamente, in Europa i vescovi —che non sono precisamente un esempio di coraggio apostolico questi giorni— hanno appena fatto un piccolo passo diverso. Nella loro plenaria a Fátima, hanno inviato una lettera a Ursula von der Leyen chiedendo all'UE di agire con decisione nella COP30. Fino a qui, simile al documento latinoamericano.

La differenza sta nel tono: i vescovi europei hanno parlato del dimenticare le radici cristiane, della necessità di reconquistare l'Europa con amore e della missione di essere discepoli missionari in un'Europa secolarizzata. Cioè, anche in mezzo al discorso verde, si sono azzardati a ricordare che la Chiesa non esiste per gestire budget climatici, ma per evangelizzare.

Tra l'ecologismo secolare e la missione della Chiesa

Nessuno nega che curare la creazione sia parte del dovere cristiano. Benedetto XVI lo ha ricordato con forza. Ma ha anche avvertito che la Chiesa non è un'ONG. Quando Cáritas si siede ai tavoli della COP30 senza menzionare Cristo, l'unica cosa che ottiene è rafforzare la narrativa secolare di sempre: più fondi, più politiche, più burocrazia. E intanto, il Vangelo resta fuori gioco.

Il contrasto è evidente: i vescovi europei, con tutti i loro limiti, almeno hanno lasciato intravedere che il problema di fondo è spirituale e culturale. Cáritas America Latina, invece, sembra parlare da un mondo alterno —una specie di Narnia climatica— dove la Chiesa non evangelizza più, solo redige documenti tecnici.

La cura della creazione non è il fine ultimo

E chiarifichiamo! non si tratta di negare l'obbligo cristiano di custodire la creazione. Ne facciamo parte e dobbiamo curarla. Ma senza dimenticare ciò che insegna il Catechismo: Siamo stati creati per conoscere, amare e servire Dio in questa vita e così goderne nell'eternità.

La creazione è un dono di Dio, ma non è il nostro fine ultimo. Mettere l'ambiente al centro assoluto della missione della Chiesa è invertire l'ordine delle cose. Il fine della vita umana non è curare la Casa Comune, ma raggiungere il Cielo. La cura della creazione ha senso solo in quanto ci aiuta a compiere il nostro destino eterno.

Non scandalizzarsi, ma sì indicare la rotta persa

Non è necessario strapparsi le vesti. Basta leggere il testo e constatare che la Chiesa istituzionale, sempre di più, parla la lingua del mondo e tace il nome di Cristo. Non è scandalo, è diagnosi. E la diagnosi è chiara: quando la Chiesa si trasforma in commentatrice di politiche verdi, rinuncia alla sua vera missione.

La COP30 passerà, come sono passate le 29 precedenti, con grandi titoli, promesse per un futuro migliore e accordi verdi. Ma la Chiesa dovrebbe chiedersi cosa lascerà la sua partecipazione: un apporto cristiano con nome proprio che trascende oltre la natura, o un documento in più che potrebbe firmare qualsiasi ONG?

Aiuta Infovaticana a continuare a informare