Di: Tomás Salas
Il nuovo santo che passa a occupare un posto nel club esclusivo dei dottori della Chiesa, san John Henry Newman, è un convertito. Questo lo include anche in un club di illustri maestri del pensiero e della parola: Paul Claudel, Chesterton, André Frossard, Papini, Edith Stein, García Morente e, nientemeno che due giganti come San Agustín e San Pablo.
La conversione di Newman ha un carattere speciale. Non è un lampo improvviso, come in Claudel, Morente o san Pablo, ma un processo di lungo percorso e di un’evoluzione paulatina, lenta, progressiva. Ogni tappa si appoggia sulla precedente e poco a poco arriva al Cattolicesimo pieno, cosa che avviene ufficialmente il 9 ottobre 1845 a Littlemore, per mano del sacerdote italiano Domingo Bariveri.
Ma si direbbe (cosa che può risultare strana, ma nulla è abituale nel caso di Newman) che passò tutta la vita preparandosi per entrare nella Chiesa vera. Anzi: i suoi scritti e la sua vita danno la sensazione che lui si considerasse sempre cattolico, che fosse cattolico “in potenza“ e che tutto quello gigantesco sforzo spirituale e intellettuale della sua vita non fosse altro che un processo per portare quella “potenza“ ad “atto“. “In occasione della mia conversione -scrive nella sua Apologia pro vita sua– non ebbi coscienza di alcun cambiamento di pensiero o di sentimento che si operasse in me riguardo alla materia di dottrina“. Tuttavia, riconosce di aver sperimentato “un grande cambiamento nel mio modo di vedere la Chiesa anglicana“, che, per lui, fa parte della Chiesa cattolica. “Per la prima volta la guardavo dall’esterno (…) e la vedevo come una mera istituzione nazionale“.
Il processo parte da lontano, da un’età giovanile. Il giovane Newman è impregnato di cultura umanistica, ma anche della letteratura laica del suo tempo, ha letto Paine, Hume, Voltaire e pensava: “¡Qué espantoso, ma quanto verosimile è quello!“ Ma, nel 1816, a 15 anni, sperimenta ciò che lui chiama la sua “prima conversione“ (Apologia). Arriva alla convinzione che le credenze non possono essere opinioni o sentimenti personali, ma “un credo preciso“. Arriva a comprendere cosa sia un dogma e riconosce che “queste idee non si sono mai cancellate né offuscate in me“ (Apologia). Insieme a queste certezze, scopre che è la volontà di Dio il suo celibato a vita.
In quel processo agiscono fattori personali, sentimentali, di contesto storico, ma ha un componente intellettuale che è basilare; in questo ricorda Edith Stein. Tutta la sua vita è un affanno per perseguire la verità. “Il mio desiderio -scrive- è stato avere la verità come mia principale amica“. Un affanno questo, onesto, implacabile, senza cadere in apriorismi né pregiudizi (nemmeno religiosi), che sono così abituali nel mondo intellettuale.
Il mondo anglicano presentava nella sua epoca una diversità di posizioni a volte molto lontane. Newman si situava nella cosiddetta High Church, movimento che oggi chiameremmo più elitista, sia in ciò che è liturgico che intellettuale. Sono vicini al cattolicesimo, (anche se rifiutano alcuni punti fondamentali, con sfumature) in molti aspetti e lontani da un protestantesimo evangelista, più popolare, più soggettivista, meno istituzionale. Di fatto, si consideravano come una “terza via“ tra il cattolicesimo papista e il protestantesimo evangelista.
Situato in questo contesto, avanza verso la verità in modo implacabile, ma doloroso. La sua prima opera (a parte i suoi sermoni e lettere), Los arrianos del siglo IV, è uno studio di quel momento di grande crisi del Cristianesimo, con il Concilio di Nicea e la gigante figura di san Atanasio. Intuisce Newman che quelle dottrine sulla natura di Cristo e la Trinità facevano parte della tradizione apostolica e erano state affidate alla Chiesa. Scrive una frase contundente, che può essere la confutazione dell’individualismo e dell’antidogmatismo protestante: “si trattava di fatti, non di opinioni“ (Los arrianos). Si veda che siamo nel 1833, 20 anni prima della sua conversione.
Questa evoluzione spirituale, ma marcatamente intellettuale, si porta a cabo non senza strappi personali. La Chiesa anglicana è il suo mondo, dove sono i suoi amici e fedeli. L’ambiente accademico e religioso di Oxford è per Newman qualcosa di irrinunciabile. Lui sa che, in questa chiesa, è una figura prominente, prestigiosa per il suo sapere e per la purezza intaccabile della sua vita, e che il suo passaggio alla Chiesa romana causerà in molti dolore e sconcerto. D’altro canto, è consapevole delle carenze e contraddizioni della Chiesa cattolica del suo tempo, in cui ha, dopo la sua conversione, alcuni problemi. Ma nessuno di questi ostacoli lo allontana da quella passione per la verità.
In questo caso, abbiamo la fortuna di poter seguire questo delicato processo passo dopo passo, spiegato con minuzioso dettaglio, nella grande massa dei suoi scritti, soprattutto nella sua Apología. Solo nelle Las confesiones di san Agustín c’è un processo di conversione così minuziosamente spiegato, sebbene san Agustín si concentri anche su aspetti biografici e storici e l’Apología sia più un’autobiografia spirituale. Questi due libri, insieme alla Vida di santa Teresa, sono le tre cime di autori che hanno condiviso la loro profonda esperienza religiosa.
La vocazione al sapere come un impulso continuo e potente è ciò che muove Newman. Sapere non come mero conoscenza utile o come erudizione, ma come elemento che dà senso alla vita, come necessità dello spirito, che tinge non solo la conoscenza o la ragione, ma tutte le potenze dell’anima. Potremmo parlare qui di sapienza come dono dello Spirito Santo?
Ci sono dottori ai quali la tradizione ha attribuito qualche soprannome significativo. Santo Tomás, l’Angelico, san Buenaventura, il Serafico, san Agustín, il dottor della Grazia. Potrebbe quadrargli san Henry Newman il qualificato di Doctor Sapientiae.
