Inghilterra: oggi la Camera dei Lord dibatte il suicidio assistito, i vescovi chiedono di fermare la legge

Inghilterra: oggi la Camera dei Lord dibatte il suicidio assistito, i vescovi chiedono di fermare la legge

Il 12 settembre, la Camera dei Lord esamina il Terminally Ill Adults (End of Life) Bill, che mira a legalizzare il suicidio assistito in Inghilterra e Galles. In una dichiarazione ufficiale diffusa dalla Conferenza Episcopale d’Inghilterra e Galles, l’arcivescovo John Sherrington ha ribadito l’opposizione della Chiesa, avvertendo che la legge “rimane impraticabile e mette a rischio le nostre istituzioni sanitarie, i professionisti e i pazienti”.

Rischio per ospedali e hospice cattolici

Il prelato ha sottolineato che la proposta minaccia la missione di hospice e residenze per anziani che, per principi etici, non potrebbero mai facilitare il suicidio assistito. “Un diritto a morire concesso agli individui diventerà un dovere per gli hospice e le residenze per anziani di facilitarlo”, ha avvertito insieme al cardinale Vincent Nichols.

La preoccupazione ha fondamento nell’articolo 42 del progetto di legge, che ordina che “devono esistere servizi di assistenza volontaria per morire in Inghilterra e Galles organizzati secondo la normativa statale”. Questo punto implica che le istituzioni mediche, incluse quelle cattoliche, potrebbero essere sotto pressione per abilitare spazi o procedure contrarie alla loro identità cristiana.

Una clausola di coscienza insufficiente

Il testo legale prevede nel suo articolo 31(1) che “nessuna persona è obbligata a partecipare all’assistenza per morire”. Tuttavia, nel paragrafo 31(2) si aggiunge che i professionisti obiettori devono rimandare il paziente a chi possa fornirgli le informazioni e l’accesso al processo.

Questo obbligo conferma quanto affermato dall’arcivescovo: la clausola di coscienza non è piena, perché “molti medici, di fatto, non potranno esimersi, dovendo indirizzare i pazienti verso informazioni o consultazioni preliminari”.

Rischio per i pazienti più fragili

La definizione di “malattia terminale” nell’articolo 2(1) comprende ogni adulto diagnosticato con una condizione “che probabilmente causerà la sua morte in sei mesi”. Questa ampiezza, avvertono i vescovi, lascia le persone gravemente malate, ma ancora capaci di vivere con qualità e cure, a rischio di sentirsi sotto pressione per optare per la morte.

L’arcivescovo Sherrington ha ricordato che in paesi come il Canada la legalizzazione è iniziata con criteri limitati, ma “si è rapidamente ampliata a malati non terminali e a persone senza capacità mentale”.

Cure palliative a rischio

I vescovi hanno insistito sul fatto che la priorità deve essere garantire l’accesso alle cure palliative, e non indebolirle. Il progetto menziona la necessità di valutare l’impatto, ma non obbliga a migliorare il suo finanziamento né la sua provvista.

“Il risultato inevitabile sarà che, dove mancheranno le cure palliative, i pazienti si sentiranno sotto pressione per porre fine alle loro vite”, ha dichiarato Sherrington.

Appello alla preghiera e all’azione

Il comunicato della Conferenza Episcopale si è concluso con un appello a tutti i cattolici: “Continuiamo a chiamare alla preghiera e all’azione. Vi esorto a contattare i membri della Camera dei Lord e, in particolare, a condividere le vostre esperienze personali o professionali su questa questione così importante”. Ricordiamo le parole di san Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium Vitae (n. 81):

«La vita umana, dono prezioso di Dio, è sacra e inviolabile, e per questo, in particolare, sono assolutamente inaccettabili l’aborto procurato e l’eutanasia; la vita dell’uomo non solo non deve essere soppressa, ma deve essere protetta con ogni sollecitudine amorosa».

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