La vittima, un minore di età, è stato aggredito sessualmente da diversi compagni durante un viaggio scolastico organizzato dal collegio Nuestra Señora de Loreto, a Valencia. La Procura accusa solo uno degli implicati. La famiglia ha dovuto abbandonare il centro e il giovane continua a ricevere trattamento psichiatrico.
I fatti sono avvenuti in marzo del 2023, durante giornate sportive a Málaga organizzate da una fondazione legata al collegio paritario Nuestra Señora de Loreto di Valencia, gestito dalla Fundación Educativa Santo Domingo. Quello che doveva essere un’esperienza formativa e sportiva si è trasformato in un episodio di crudeltà e violenza che ha segnato per sempre la vita della vittima.
Cinque adolescenti —compagni di classe— hanno costretto un minore a entrare nel bagno di un hotel a Benalmádena. Secondo quanto riportato dalla Procura dei Minorenni di Valencia, lì lo hanno minacciato («fatti una sega o morirai»), si sono masturbati davanti a lui e lo hanno aggredito sessualmente, mentre uno degli aggressori ripeteva: «che soffra, che soffra, voglio vedere come soffre».
Così racconta Las Provincias, sebbene omettendo il nome del centro:
L’acoso scolastico ha raggiunto il culmine in un hotel di Benalmádena durante giornate sportive organizzate da una fondazione religiosa. Il 28 marzo 2023, la banda ha circondato il minore in un corridoio e lo ha costretto a entrare in un bagno. Poi gli hanno mostrato video pornografici, si sono masturbati davanti a lui, lo hanno minacciato con frasi come «fatti una sega o morirai» e lo hanno aggredito sessualmente dopo aver chiuso la porta con il chiavistello.
Mentre alcuni costringevano la vittima, altri incitavano gli aggressori, e il capo del gruppo ha detto: «Che soffra, che soffra, voglio vedere come soffre», secondo la ricostruzione dei fatti fatta dalla Procura dei Minorenni e dall’accusa particolare. Dopo il ritorno a Valencia, la banda ha continuato a molestare il ragazzo di 13 anni dentro e fuori dal collegio, gli ha instillato paura per farlo tacere e lo ha minacciato attraverso i social network, arrivando persino a chiamarlo più di 300 volte via Whatsapp, secondo la denuncia presentata dallo psicologo della vittima.
Prima dell’aggressione c’erano già chiari segnali di allarme: il minore subiva acoso, scherni e persino chiamate anonime. Dopo l’attacco, le molestie sono continuate per settimane a Valencia. La vittima ha taciuto, terrorizzato dalle minacce e dalla paura che suo fratello minore subisse ritorsioni.
Solo due mesi dopo, quando è crollato emotivamente, ha potuto ricevere assistenza medica. Ad oggi, continua il trattamento psichiatrico. I suoi genitori hanno deciso di ritirare i tre figli dal collegio.
Il silenzio istituzionale: una seconda forma di abbandono
È difficile comprendere come un centro educativo cattolico, formalmente impegnato con i valori del Vangelo e con la tutela dei minori, non abbia dato una risposta pubblica chiara di fronte a un fatto di questa gravità. La famiglia della vittima ha dovuto ritirare i tre figli dal collegio. Fino ad oggi, non risulta un riconoscimento di responsabilità, una scusa formale né una dichiarazione istituzionale che riconosca la sofferenza causata né la necessità di riparazione.
Fonti dirette hanno confermato a Infovaticana che il centro ha preso misure dopo i fatti che non sono state rese note. Ma invece di comunicarle in modo aperto e trasparente, si è optato per il blocco dei commenti su Google, la chiusura informativa e il silenzio come strategia. Una politica di comunicazione che contraddice la coerenza con le azioni adottate e che, invece di generare fiducia, alimenta la sensazione di abbandono e mancanza di empatia.
I cattolici esigono fiducia, non impunità
Questo silenzio risulta ancora più doloroso perché i collegi cattolici sono scelti da molte famiglie proprio per la loro identità religiosa, per la promessa di formare nella virtù, nella dignità della persona, nel rispetto reciproco. Cosa resta di quella promessa quando un bambino è umiliato e violentato senza che ci sia una risposta proporzionata da parte dei responsabili istituzionali?
Le istituzioni della Chiesa non possono continuare ad agire come se l’importante fosse proteggere la loro reputazione. Non c’è scandalo maggiore del sofferenza nascosta, non c’è discredito maggiore dell’abbandono dell’innocente. La fiducia si guadagna con la trasparenza, con misure ferme, con gesti chiari di riparazione. Non basta collaborare con la giustizia civile. La responsabilità morale di un’istituzione ecclesiale va molto oltre.
L’inimputabilità non significa impunità
Il caso espone anche i limiti della attuale legislazione penale dei minori. Che due degli aggressori siano inimputabili per avere 13 anni non può essere la fine del dibattito. La società —e ancor di più un’istituzione di ispirazione cristiana— deve disporre di meccanismi efficaci per proteggere le vittime, correggere gli aggressori e evitare che fatti simili si ripetano.
La vittima soffre sequele devastanti. Qual è la riparazione che gli viene offerta? Quali misure di giustizia restaurativa sono state attivate? Chi assume il compito di consolare, di ascoltare, di accompagnare?
Questo caso non può essere chiuso in modo falso. Le istituzioni religiose devono smettere di temere la verità. Solo da azioni decise e coraggiose si ricostruisce la fiducia delle famiglie cattoliche che, di fronte a casi come questo, vedono vacillare la sicurezza dei loro figli e la credibilità di coloro che dovrebbero proteggerli.
